Stadi e sicurezza: la differenza tra gli hooligan inglesi e i 6mila “teppisti” italiani e l’inappropriata tassa sui club

“Ogni settimana ci sono 12 milioni di tifosi che seguono gli eventi sportivi e seimila teppisti, da non confondere con i tifosi che sono il 99%. L’obiettivo è sradicare la violenza con ogni mezzo necessario”. Le parole del ministro dell’Interno Matteo Salvini al termine della riunione straordinaria dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, svoltasi con il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, i vertici dello sport ed il capo della polizia Franco Gabrielli, sono ovviamente da sottoscrivere. Tuttavia, come il ministro Salvini certamente sa, la questione in Italia è oggi molto più complessa: quelli che i club hanno davanti non sono solo 6mila “teppisti”, come li etichetta il titolare del Viminale. Le curve e le formazioni ultras hanno perso quasi dappertutto la genuina derivazione dal tifo estremo e finanche le connotazioni politiche che le hanno caratterizzate per lunghi tratti. Da alcuni anni sono invece pesantemente infiltrate da organizzazioni criminali e mafiose, in maniera quasi irreversibile in molti casi. Quando si evoca il modello inglese si dimentica questo “piccolo” dettaglio. Gli hooligans d’Oltremanica non erano eterodiretti da gruppi criminali e non erano espressione del potere mafioso di questi ultimi. Nella maggior parte dei casi erano semplici “teppisti”, la cui violenza era figlia anche dalla crisi sociale ed economica provocata dal governo della Lady di Ferro Margaret Thatcher. Estirparli dal calcio britannico dunque ha richiesto un grande sforzo, ma mirato a eliminare il brodo di coltura sociale tutto sommato circostanziato.
Le inchieste come quella di Alto Piemonte e i risultati della commissione parlamentare d’inchiesta guidata nella scorsa legislatura da Rosy Bindi hanno documentato al contrario che la realtà del tifo organizzato in Italia è ben diversa ed è pervasa ormai da penetrazioni criminali di primo livello. Penetrazioni di cui le società sono le prime vittime e i primi ostaggi. Quando il sottosegretario Giancarlo Giorgetti afferma che “per la sicurezza dentro e fuori gli stadi sono importanti la certezza delle pene, la rapidità dei giudizi, le aggravanti specifiche e le misure accessorie”, dice una cosa opportuna. Ma l’apparato normativo da applicare al fenomeno italiano forse va rivisto tenendo conto di questi aspetti criminogeni.
“Nel 2018 – ha poi spiegato Salvini – dal primo luglio al 30 novembre 2018 dicono che il calcio è uno sport sempre più sano: i feriti sono il 60% in meno, quelli tra gli agenti del 50% mentre si sono azzerati tra gli steward. Nel 2018 inoltre sono stati utilizzati 75mila agenti per garantire la sicurezza delle manifestazioni sportive. È giusto che i club contribuiscano alle spese, come prevede la legge sulla sicurezza e che quei 40 milioni di euro non gravino sui cittadini”. In effetti già da quattro anni esiste una norma che impone ai club di contribuire alla sicurezza esterna (avendo già a proprio carico quella interna agli impianti) pagando tra il 3 il 5% degli incassi del botteghino. Si tratta di una somma che potrebbe valere tra i 10 e i 15 milioni considerando che mediamente i 20 club di Serie A ricavano in totale circa 220/240 milioni a stagione da questa voce di bilancio.
La misura evocata da Salvini incontra il favore dell’opinione pubblica ma appare inappropriata anche politicamente considerando la natura del fenomeno appena descritta e il dovere assoluto dello Stato di assicurare l’ordine pubblico e i diritti dei propri cittadini e delle proprie aziende. Del resto, la Serie A già versa all’Erario ogni anno quasi un miliardo di euro di imposte e tasse.
Le società vanno difese dalle organizzazioni criminali che infestano gli stadi. Sicchè è assolutamente condivisibile la contrarietà del leader leghista alla chiusura degli stadi ed al divieto di trasferte “perchè è la resa dello Stato: bisogna garantire che chi sbaglia da tifoso paghi e chi sbaglia da tesserato deve essere punito il doppio perché hanno responsabilità in più, ma no a sanzioni collettive, non è giusto che paghi un club, un’intera tifoseria o una città”. Ma allo stesso tempo andrebbe dato un messaggio inequivocabile sulla volontà dello Stato di essere a fianco dei club e proteggerli sotto tutti i punti di vista, anche economici. E magari anche con una nuova legge sugli stadi che a prescindere dalle celle di sicurezza consenta di creare strutture di qualità che attirino solo i tifosi e i gruppi perbene.