Un avversario in più. Per il Calcio italiano Spa il Fisco si sta rivelando, anno dopo anno, sempre più difficile da dribblare o da ingabbiare con tattiche innovative. Non c’è fuorigioco che tenga di fronte all’agenzia delle Entrate. Basti pensare che il gettito per l’Erario generato dal calcio professionistico italiano nel 2010 è stato pari complessivamente a 903 milioni (che salgono a 1.069 milioni di euro se si computa anche il prelievo sulle scommesse sportive).
Il contributo fiscale e previdenziale aggregato – come evidenza il Reportcalcio2013 presentato ieri a Roma da Figc, Pwc e Arel – è cresciuto costantemente facendo registrare un incremento del 30% rispetto al 2006 (anno nel quale la contribuzione non superava i 693 milioni di euro).
Senza che si profilino luxury tax, come l’aliquota del 75% per i compensi oltre un milione di euro sulla quale si sta spendendo il Governo francese di Francois Hollande, i club di Serie A, B e Lega Pro hanno versato nelle casse dello Stato 554 milioni di ritenute sul lavoro dipendente, oltre a 92,5 milioni di contributi all’Enpals. I team della massima serie, in particolare, hanno pagato tra imposte e "assegni" previdenziali circa 714,5 milioni di euro (il 79% del totale del calcio professionistico).
La corsa ai campioni più affermati nelle stagioni meno recenti del calcio italiano – prima dell’austerity imposta dalla crisi e dai diktat del financial fair play imposto dalla Uefa – ha comportato un progressivo aumento degli ingaggi che ha avuto come immediato riflesso la crescita delle "ritenute" (di fatto un doppio costo per le società che garantiscono stipendi netti agli atleti) di quasi 50 milioni tra il 2008 e il 2010 e di più di 150 milioni rispetto al 2006.
Le aziende calcistiche devono fare i conti, inoltre, con altre tipologie d’imposta: il 19% del gettito è derivato nel 2010 dall’Iva, che dopo essere cresciuta da 183 a 208 milioni tra il 2006 e il 2008 si è sostanzialmente stabilizzata a 206,3 milioni.
L’"odiata" Irap, citata qualche giorno fa dall’ad del Milan Adriano Galliani, a proposito del peso che ha perfino sulle plusvalenze maturate nel calciomercato tricolore, vale 40 milioni, mentre l’Ires, a fronte di società strutturalmente in perdita, ha prodotto entrate per soli 11,2 milioni di euro.
Le società di calcio professionistiche hanno dato lavoro (sempre nel 2010) a 10.226 "lavoratori" per un ammontare complessivo di reddito da lavoro dipendente per 1.359 milioni di euro. Il numero medio di contribuenti per società – quindi nono solo calciatori – è di 180 per la Serie A, 110 per la Serie B, mentre per la Prima e la Seconda Divisione della Lega Pro si scende rispettivamente a 63 e 39. Segmentando i contribuenti per fasce di reddito, risultano 7.497 i contribuenti (il 73% del totale) che hanno un reddito annuale inferiore a 35.000 euro e altri 1.267 (circa il 12%) un reddito compreso tra 35.000 e 100.000 euro. I contribuenti che percepiscono un reddito compreso tra 100 e 200.000 euro sono in tutto 496, mentre altri 966 detengono un reddito superiore a 200.000 euro.
In quest’ultima fascia si concentrano, evidentemente, i calciatori delle rose di serie A i quali si dividono in totale 1.139 milioni di euro, somma che equivale a un ingaggio medio di oltre un milione di euro. Mediamente, invece, il reddito medio dichiarato dai "dipendenti" (tesserati e non) delle società di serie A, B e Lega Pro è stato nel 2010 di 133mila euro.
A livello europeo il Fisco italiano è quello più "esoso". Quello tedesco si ferma a 719 milioni e quello transalpino (per ora) a 622 milioni. Fa "meglio" solo l’Inghilterra che contando su un giro d’affari di oltre 3 miliardi annui drena dal settore calcio 1,3 miliardi.
(Dal Sole 24 Ore del 5 aprile)