Se la Fifa non ha ancora approvato un regolamento esplicito sulle controverse TPO, è anche perché la federazione internazionale numero uno del calcio ha atteso troppo prima di pronunciarsi a riguardo, lasciando così che il fenomeno nato in Sud America si diffondesse a livello internazionale e diventasse quindi difficile da regolamentare.
Tuttavia, un’importante pietra miliare è stata posta ad ottobre, quando il comitato di appello della stessa Fifa ha respinto il ricorso presentato lo scorso marzo dall’Institución Atlética Sud América, squadra della città di San Jose di Mayo in Uruguay. Al club, accusato di aver violato gli articoli 3, 4, 8.3 e 9.1 del regolamento Fifa sullo status e il trasferimento dei giocatori, la commissione ha, di fatto, confermato la multa di quarantamila franchi svizzeri e il divieto di trasferire giocatori per le prossime due sessioni di mercato.
La società era stata accusata di aver agito come bridge club nel 2012, tesserando 6 giocatori per poi rivenderli a distanza di pochi giorni senza che questi giocassero un solo minuto con la squadra: una pratica che stava diventando sempre più frequente nel continente latino e che nella stessa operazione ha visto coinvolti club Argentini di maggior rilievo rispetto all’Uruguaiano, come il Central Córdoba, l’Independiente, il Rosario Central e il Racing Club. Tutti club che sono stati richiamati e multati dalla stessa commissione Fifa senza subire però il blocco sul mercato.
Per la lotta a tali escamotages è risultato fondamentale il Transfer Matching System (TMS) della Fifa, sistema introdotto nel 2010 che registra tutti i trasferimenti di giocatori professionisti, ideato per un mercato internazionale più trasparente e che andrà potenziato anche applicandolo per gli scambi interni in alcuni Paesi.
Si tratta quindi delle prime sanzioni internazionali per l’uso di bridge transfers, un meccanismo utilizzato nel trasferimento dei giocatori per ottenere tassazioni ridotte, occultare il vero flusso di capitale coinvolto, riciclare denaro sporco o nascondere la vera identità dei fondi di investimento che detengono quote di maggioranza dei cartellini e spesso agiscono da burattinai.