La volontà della Juventus di allargare i propri orizzonti all’estero, con l’ipotesi di entrare in sinergia con altre società in Spagna o Portogallo, riaccende il tema legato alle cosiddette “multiproprietà” nel mondo del calcio. Un argomento già toccato pochi mesi fa, legato alle proposte avanzate in Figc dal presidente Carlo Tavecchio, con diversi esempi già presenti all’estero e non solo.
Le multiproprietà italiane. In Italia attualmente sono tre le società che possono vantare partnership o partecipazioni in altri club esteri. La famiglia Pozzo, proprietaria dell’Udinese, è stata la prima a sbarcare all’estero pur avendo già in mano un club in serie A, diventando dapprima proprietari del Granada in Spagna, poi del Watford in Inghilterra. È strettamente legata alla persona di Erick Thohir invece la partnership tra Inter e DC United, franchigia della MLS di cui l’indonesiano è azionista di maggioranza dal 2012, un anno prima del suo ingresso nel club nerazzurro. I Della Valle, infine, fanno parte del novero di imprenditori che hanno voluto scommettere sulla neonata Indian Super League entrando a far parte del Pune Fc: la Fiorentina, club di proprietà dei Della Valle, ha infatti ottenuto il 15% della franchigia indiana. Prima di loro, Tanzi e la sua Parmalat hanno controllato per otto anno il Palmeiras, oltre che il Parma. La famiglia Gaucci, così come Franco Sensi, è stata infine proprietaria di più squadre militanti nel calcio professionistico italiano: i primi hanno avuto in mano Perugia, Catania e Viterbese (tutte militanti in categorie diverse), mentre Sensi è stato per tre anni proprietario della Roma e del Palermo, la cui presidenza è stata lasciata a Sergio D’Antoni.
Gli altri casi in giro per l’Europa. Così come la Fiorentina, anche Feyenoord e Atletico Madrid hanno avviato le loro partnership in India per sfruttare l’ondata di entusiasmo per la nascita della Indian Super League: gli olandesi collaborano con i Delhi Dynamos (squadra in cui ha militato Alessandro Del Piero), mentre i colchoneros sono co-proprietari dell’Atletico Kolkata, vincitore della prima edizione del campionato. Chi prova a testare altri lidi è il Manchester City dello sceicco Al Mansour, divenuto azionista degli Yokohama Marinos (acquisito il 20% della società), proprietario dei Melbourne Heart e comproprietario dei New York FC. Negli Stati Uniti è sbarcato anche il colosso Red Bull, proprietario dei New York Red Bulls, ma anche dei Red Bull Salzburg (Austria), Red Bull Leipzig (Germania) e dei Red Bull Brazil. Il record però è del belga Roland Duchatelet, proprietario dello Standard Liegi ma non solo: lui controlla in prima persona anche il Charlton (Inghilterra), Carl-Zeiss Jena (Germania) e Alcorcon (Spagna), la moglie è presidentessa del Sint Truiden (Belgio) e il figlio dell’Ujpest (Ungheria), per un totale di sei squadre sotto il controllo della sua famiglia.
Sponsorizzazioni e partnership, i conflitti d’interesse. Caso a parte quello delle partnership legate alle sponsorizzazioni: il più noto è quello tra la Sibneft di Abramovich, proprietario del Chelsea, e il Cska Mosca. Un conflitto d’interessi divenuto fin troppo evidente nel corso della Champions League 2004-05, quando le due squadre vennero inserite nello stesso girone. L’accordo tra il gigante energetico russo e il Cska venne annullato in seguito alla cessione delle quote di Sibneft da parte di Abramovich a Gazprom, che preferì non proseguire la collaborazione in quanto già sponsor di un’altra squadra russa, lo Zenit. Proprio Gazprom, però, rappresenta un altro esempio di conflitto di interessi: sponsor della Uefa Champions League, il colosso russo è sponsor di Chelsea, Stella Rossa e Schalke 04.