Come ristrutturare 230 milioni di debiti e far emergere proventi straordinari per quasi 220 milioni in soli due anni? Il problema, posto così, sembrerebbe insolubile. Eppure l’amministrazione nerazzurra di Erick Thohir ci è riuscita. Una magia che fa impallidire d’un colpo il ricordo di quei dirigenti che nel corso degli anni Duemila hanno inventato diverse, e più o meno sofisticate, operazioni di ingegneria finanziaria pur di non far sprofondare i conti delle proprie società.
Ma come ha potuto il presidente indonesiano dell’Inter compiere quest’impresa? Per capirlo occorre riguardare tutto al ralenty, in una sorta di moviola giuridico-finanziaria. Bisogna riportare la macchina da presa al dicembre 2005. Finita l’epoca d’oro delle super plusvalenze, il Calcio italiano Spa si è finanziato con le cessioni dei marchi. In pratica, il brand veniva venduto a una società collegata al club calcistico e creata apposta. Il club incassava subito un certo corrispettivo in modo da aggiustare i bilanci e “riaffittava” contestualmente il marchio dalla società per sfruttarlo commercialmente pagando un canone. I soldi che la società collegata versava al club per comprare il marchio venivano di solito da un prestito bancario e la società cessionaria del marchio pagava a sua volta alla banca le rate per estinguere il prestito. In definitiva, il giro di denaro non era altro che un prestito bancario “mascherato” che consentiva al club di dilazionare il debito attraverso il canone di riaffitto del marchio. A dicembre 2005 l’Inter scorpora così il marchio cedendolo a una società controllata, la Inter Brand, per 158 milioni. A finanziare l’operazione, con 120 milioni, è Banca Antonveneta.
Facciamo un salto temporale e arriviamo all’attualità. Giugno 2014. Thohir diventato proprietario dell’Inter si obbliga a liberare Massimo Moratti dalle garanzie personali prestate per assicurare le banche creditrici del club nerazzurro. Il neo presidente non paga però i debiti di tasca propria, ma li salda facendosi prestare i soldi da Goldman Sachs e da altri fondi tramite Unicredit. Nell’ambito di questa operazione di rifinanziamento viene “effettuata una rilevante operazione straordinaria infragruppo consistente nel conferimento da parte di FC Internazionale Milano (Inter) del ramo d’azienda contenente i contratti di sponsorizzazione, i crediti derivanti dalla vendita dei “media rights” ed i contratti relativi a Inter Channel alla società Inter Media and Communication Srl (IMC) costituita il 6 maggio 2014”. A sua volta Inter Brand conferisce a IMC il marchio “Fc Inter” ricevuto nove anni prima e in gran parte già ammortizzato. Quindi la “polpa” dell’Inter finisce dentro una scatola (la IMC) data in pegno a garanzia del nuovo debito pari a 230 milioni. L’Inter detiene il 55,6% del capitale di IMC, mentre il 44,4% appartiene a Inter Brand.
I rami d’azienda conferiti avevano un valore contabile nei vecchi bilanci di Fc Inter e Inter Brand di 57,5 milioni in totale. Perizie indipendenti stabiliscono invece che gli asset conferiti dall’Inter (contratti con sponsor, crediti per diritti tv, ecetera) valgono 159 milioni, mentre il marchio “Fc Inter” vale 131,8 milioni. Quindi emerge un surplus di 219 milioni. In particolare, nel bilancio di Inter Brand, dopo il conferimento del marchio a IMC viene iscritta una plusvalenza di 79,8 milioni.
Che fine fanno queste plusvalenze? La prima, quella dell’Inter già nell’esercizio 2013/14 porta a iscrivere nel bilancio una bonus di 139,2 milioni che conduce a dichiarare un utile netto di 33 milioni circa.
Dopo di che Inter Brand il 20 ottobre 2014 delibera la distribuzione alla stessa Inter di un dividendo “in natura” pari a 78,7 milioni, più o meno tutta la plusvalenza emersa con il conferimento a IMC del marchio “Fc Inter”. Plusvalenza che emerge nel bilancio al 30 giugno 2015 del club. Bilancio che formalmente, senza cioè contare questo dividendo, si è chiuso con un rosso di 74 milioni.
In altre parole, senza i conferimenti infragruppo in IMC e circa 219 di plusvalenze contabili, l’Inter che ha chiuso il biennio 2014/15 con una perdita di appena 41 milioni, avrebbe dovuto fare i conti con un deficit totale di quasi 250 milioni di euro. Dulcis in fundo, in dieci anni, fra il 2005 e il 2015, il doppio conferimento del marchio (prima da Fc Inter a Inter Brand e poi da quest’ultima a IMC), ha prodotto plusvalenze contabili per oltre 290 milioni. Tutto lecito, sia chiaro, a meno che Covisoc o Uefa non vogliano vederci più chiaro. Ma quando si dice, per l’appunto, la forza del marchio.