Kakà come Maradona, almeno stando alla “sfida” con l’Agenzia delle Entrate. Il trequartista brasiliano, attualmente in forza agli statunitensi dell’Orlando City, è stato assolto con formula piena dall’accusa di evasione fiscale. Il Tribunale di Milano ha dunque riconosciuto non colpevole l’ex fuoriclasse del Milan, squadra con cui ha vinto la Champions League e il Pallone d’Oro nel 2007, sul cui capo pendeva un’accusa di evasione per circa due milioni di euro. Un contenzioso già risolto in precedenza col versamento della stessa cifra nelle casse del fisco italiano, ma adesso Kakà potrà riavere i suoi soldi, poiché il fatto non sussiste.
La società “schermo” per i diritti d’immagine. Secondo l’accusa, Kakà aveva creato uno schermo societario per abbattere le tasse sui proventi derivanti dallo sfruttamento dei diritti d’immagine durante il suo primo periodo da tesserato del Milan, dunque dal 2005 al 2008. Questo “schermo”, ovvero la società “Tamid Sport Marketing Srl”, era stato costituito dal brasiliano al fine di interportla tra lui e i suoi sponsor, a detta dell’accusa, e dunque solamente per finalità di ordine fiscale. Sempre secondo l’accusa, questa società gli avrebbe permesso di abbattere le tasse sui proventi legati allo sfruttamento della sua immagine, quando all’epoca era testimonial di diverse campagne pubblicitarie in Italia. L’accusa non ha retto già al primo grado di giudizio e, nell’ultima udienza, è stata confermata l’assoluzione del calciatore.
La soddisfazione della difesa. Il difensore di Kakà, l’avvocato Daniele Ripamonti, ha espresso “soddisfazione” per la decisione del giudice: “Il mio assistito avrebbe potuto cavarsela anche grazie alla nuova normativa, in quanto l’abuso del diritto non costituisce più reato – ha sottolineato il difensore – ma il giudice lo ha assolto con formula piena, accogliendo in toto le nostre ragioni”. Kakà, che all’epoca dei fatti era uno dei calciatori più pagati al mondo, aveva concesso i diritti per lo sfruttamento della propria immagine ad una società non per evadere le imposte ma, sempre secondo l’avvocato Ripamonti, “per conseguire il maggior numero di contatti attraverso una struttura competente”.
Il precedente con Maradona. Questa sentenza arriva a oltre sei mesi di distanza da un’altra assoluzione celebre nel mondo del calcio, ovvero quella di Diego Armando Maradona, che ha visto accolto il proprio ricorso contro una intimazione di pagamento da parte di Equitalia. Una notifica che per il giudice della commissione tributaria provinciale di Napoli era “priva di motivazione, in violazione dello Statuto del Contribuente che, fin dal 2000, stabilisce che gli atti dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia devono spiegare con chiarezza e puntualità le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”. Per il Pibe de Oro, però, la situazione è resa decisamente più complessa dal procedimento in sede penale, a differenza del caso Kakà.