La Gran Bretagna saluta l’Unione Europea e la Premier League si interroga sulle conseguenze di tale scelta. Il campionato più ricco e più seguito al mondo si ritrova costretto a gestire una situazione complicata, soprattutto dopo aver espresso apertamente a nome di tutti i club partecipanti il proprio appoggio al fronte “remain”. Il referendum dello scorso giovedì ha invece aperto la porta d’uscita al Regno Unito, con tutto quello che ne consegue sul piano economico e normativo.
L’effetto principale della Brexit sulla Premier League sarà sulle norme che permettono alle squadre della massima serie inglese di mettere sotto contratto giocatori stranieri (o, fino a ieri, non comunitari). È possibile ingaggiare solo giocatori maggiorenni con almeno il 30% di presenze in nazionale nelle ultime due stagioni in caso di nazione nella top ten del ranking Fifa, altrimenti si va dal 45% per le posizioni dall’undicesima alla ventesima fino al 60% tra la ventunesima e la trentesima. Misure che, considerando stranieri anche i giocatori provenienti dall’Unione Europea, avrebbero teoricamente chiuso le porte nella passata stagione ad elementi del calibro di Kanté e Payet, oltre che agli italiani Borini e Paloschi (rientrato in Italia pochi giorni fa, all’Atalanta). Una questione su cui la FA sta cercando di lavorare per trovare una soluzione immediata, anche se quel che preme maggiormente sembra essere la massiccia presenza di minorenni non britannici nelle Academies dei principali club della Premier League. Giocatori che, col Regno Unito fuori dall’Unione Europea, non potrebbero più legalmente proseguire la loro attività con le squadre inglesi.
Quel che preoccupa l’intera Gran Bretagna e non solo i club della Premier è invece la svalutazione della sterlina. Un primo segnale del crollo della valuta britannica lo si è avuto già nella notte che ha portato al risultato definitivo del referendum. Con la vittoria del “leave”, il rischio si è fatto più concreto. E nel campionato più ricco del mondo, una crisi di tale portata non può non avere ripercussioni, soprattutto sul potere di acquisto delle società. Un problema che si potrebbe ripercuotere anche sul piano salariale: basti pensare a Jamie Vardy, che ha rinnovato due volte il proprio contratto col Leicester City nel giro di quattro mesi. La svalutazione della sterlina potrebbe portare la stella dei campioni d’Inghilterra a rivedere per la terza volta in nemmeno sei mesi l’accordo col club. Da questo punto di vista, comunque, i ricavi delle società inglesi sono tali da non dover subire gravi contraccolpi. Sul piano economico, quindi, non dovrebbe arrivare alcuna mazzata per la Premier League. Esattamente come sul piano sportivo, dove l’addio all’Unione Europea non chiuderebbe di certo le porte alla partecipazione dei club inglesi alle competizioni continentali.