Tutta la forza e le fragilità del Napoli. Il bilancio al 30 giugno 2017 racchiude tutte le potenzialità di un club che sotto la presidenza di Aurelio De Laurentiis è cresciuto notevolmente, sotto il profilo sportivo e del giro d’affari, ma che non ha ancora posto rimedio ai suoi limiti strutturali.
I conti 2017 sono impressionanti. L’esercizio ha fatto registrare profitti per 66 milioni di euro, rispetto al rosso di 3,2 milioni dell’anno precedente, mentre il fatturato è salito a quota 308 milioni. Cosa più importante è che a fine giugno 2017 il Napoli detiene un patrimonio netto pari a 122 milioni (erano 56 un anno prima) di cui 110 milioni di liquidità. Un unicum nel panorama italiano.
Il risultato del 2017 però va letto con attenzione. Questi numeri sono il frutto di due fattori straordinari: il calciomercato, con plusvalenze totali per 104,4 milioni di euro; e la partecipazione alla Champions 2016/17 condivisa con la sola Juventus, considerata l’eliminazione ai play off della Roma.
L’addio a Gonzalo Higuain ha assicurato 86 milioni di plusvalenze e quello a Manolo Gabbiadini 13 milioni. Dalla Champions sono arrivati al club partenopeo 66 milioni, cifra che ha spinto i ricavi da diritti televisivi a 142,5 milioni (+52% dai 94 milioni nel 2016), nonostante il leggero calo dei diritti incassati dalla Serie A (-5%).
Quanto alle altre entrare strutturali, il botteghino ha portato in cassa 19,7 milioni di euro, ma quasi tutto l’incremento è dovuto ai ricavi dalle coppe internazionali (passati da 915mila euro a 6,6 milioni) che hanno compensato la riduzione degli introiti legati al campionato (da 11,1 a 8,57 milioni), mentre il perimetro dei ricavi commerciali (sponsorizzazioni, pubblicità, royalties, diritti radiofonici e diritti d’immagine) è rimasto sostanzialmente stabile a 32,8 milioni. I proventi degli sponsor ufficiali sono saliti da 5,7 a 8,3 milioni, mentre quelli dello sponsor tecnico Kappa è stato di 8 milioni.
Questi leggeri incrementi dei ricavi strutturali sono però assolutamente insufficienti a colmare l’aumento dei costi fissi collegati alla rosa. Complessivamente, nell’esercizio al 30 giugno 2017 il Napoli ha avuto costi operativi per 207,4 milioni, che sono aumentati del 30% rispetto al 2016. L’impatto maggiore è derivato dalla crescita degli ingaggi da 85,2 a 101,5 milioni. In particolare, i compensi contrattuali dei calciatori sono cresciuti del 21%, passando da 65,3 a 78,8 milioni (e non sono conteggiati in questo bilancio i rinnovi di Insigne e Mertens i cui nuovi stipendi, incluse le imposte, dovrebbero costare ora al club circa 20 milioni di euro a stagione).
Allo stesso modo, sono saliti gli ammortamenti: gli acquisti di Milik (32 milioni), Zielinski (21,4 milioni), Diawara (14,4 milioni), Rog (18,9 milioni), Pavoletti (13 milioni) e Maksimovic (26,5 milioni) hanno portato gli ammortamenti a 75,9 milioni, con un incremento del 52%.
Per l’organico (ingaggi più ammortamenti) dunque la società spende oltre 170 milioni, 40 milioni in più di quanto incassa in maniera strutturale (diritti tv nazionali, botteghino e area commerciale). In altre parole, senza la Champions il Napoli sarebbe in rosso di 30 milioni.
Questa situazione induce a tenere al minimo tutti gli altri costi operativi per far funzionare il club che ammontano a circa 30 milioni. Non ci sono dunque i margini per quegli investimenti nello stadio, nel centro sportivo e nella rete commerciale che servirebbero per aumentare nel medio-lungo periodo i ricavi ordinari che sono fermi da molte stagioni.
In quest’ottica poi se è vero che la proprietà del Napoli (Filmauro Srl al 99,8% e Aurelio De Laurentiis allo 0,2%) non prende dividendi, lasciando i profitti nella società, è anche vero che il consiglio di amministrazione del Napoli (formato dal presidente, dalla moglie, dai tre figli e da Andrea Chiavelli) ha percepito nel 2017 4,4 milioni di emolumenti.
Senza un aumento stabile dei ricavi solo la presenza fissa in Champions e qualche ricca plusvalenza può assicurare una continuità ad altissimi livelli. A questo punto restano i grandi interrogativi sul futuro della società: De Laurentiis che ora ha i capitali per investimenti strutturali, perché non li fa? Solo per non mettere a rischio la possibilità di coprire con le riserve eventuali perdite future o perché non intende impegnarsi a lungo termine?
Il finale di questa stagione potrebbe offrire risposte anche su questo fronte.