Lo scorso aprile la Camera d’investigazione della Uefa ha deferito il Milan alla Camera arbitrale per il mancato il raggiungimento del pareggio di bilancio negli esercizi conclusi nel 2016, 2017 e 2018. Un atto dovuto di fronte a un rosso che solo nel bilancio chiuso al 3o giugno 2018 ha superato i 120 milioni di euro. Ma che aggrava in ambito Uefa la gestione di un caso già di per sè complesso come quello del club rossonero passato in poche stagioni attraverso tre diverse proprietà (Fininvest, quella cinese e ora quella Usa del fondo Elliot).
Il Milan infatti è già destinatario di una sanzione per il mancato rispetto dei regolamenti sul fair play finanziario riguardante gli esercizi chiusi nel 2015, 2016 e 2017, assunta sempre dalla Camera arbitrale a dicembre 2018 (dopo il ricorso al Tas di Losanna che aveva ribaltato una prima decisione della primavera 2018). Il deferimento di aprile 2019 attiene al triennio comprende a ritroso le stagioni 2017/18, 2016/17 e 2015/16 (primo bilancio chiuso dal Milan al termine della stagione sportiva e non dell’anno solare). Quello dello scorso anno comprendeva invece le stagioni 2016/17, 2015/16 e 2014/15. Dunque è un giudizio nuovo quello cui si accinge la Uefa perchè cambiano due bilanci tra quelli esaminati.
Le valutazioni da fare a questo punto attengono a due piani. Il “processo” avviato ad aprile 2019 e quello in corso dallo scorso anno.
Quando al giudizio che attende il club per il triennio 2016, 2017 e 2018, c’è il rischio concreto di un’esclusione dalle coppe europee. L’estromissione dall’Europa League irrogata dalla Uefa a giugno 2018 era una sanzione irrituale ed eccessiva. Adesso, invece, sulla testa del Milan pende un precedente (per quanto il club abbia presentato ricorso al Tas). Una nuova pronuncia del Club Financial Control Body negativa per il Milan – difficile da evitare se si considera che il triennio 2015, 2016, 2017 si era chiuso con perdite per circa 120 milioni, rispetto a una tolleranza Uefa di 30 milioni, e la proprietà “cinese” anziché invertire la rotta nel 2o18 ha prodotto altre perdite per 126 milioni – non può non tener conto della “recidiva”. Dunque entrano in campo tra le sanzioni previste dalla Uefa quelle più gravi, inclusa l’esclusione. Su questo punto non c’è margine di trattativa in quanto gli organi contabili della Uefa sono tenuti a analizzare i rendiconti economici e disporre le penalità.
Chiaramente il Milan se non dovesse qualificarsi per la prossima Champions League e accedere all’Europa League accetterebbe più di buon grado l’esclusione. Ma quest’ultima non cancellerebbe la sanzione in corso per il triennio 2015, 2016, 2017, che tra le altre cose impone al club rossonero di raggiungere il pareggio di bilancio (a zero anziché con la quota di tolleranza di 30 milioni) nel 2021. Praticamente tra due stagioni.
Ora va considerato che la società perderà al 30 giugno 2019 altri 70/80 milioni di euro e che, se non si realizzeranno radicali tagli ai costi (in assenza di fattori che possano nell’immediato far presupporre un innalzamento ordinario dei ricavi, ovvero una presenza costante in Champions), questo livello di deficit strutturale potrebbe ripresentarsi tale e quale negli anni a venire. Nella primavera del 2020 il Milan potrebbe ripresentarsi a Nyon con un nuovo deferimento per violazioni del fair play finanziario per le stagioni 2019/18, 2017/18 e 2016/17. Innescando, un circolo vizioso da cui sarebbe quasi impossibile uscire senza ridimensionare drasticamente le ambizioni della società e della proprietà Usa.
E qui che potrebbe innestarsi un dialogo costruttivo. A livello di organismo politico, dunque, fuori dalle strettoie contabili, la Uefa potrebbe ridiscutere con il Milan un piano di rientro più lungo e meno stringente di quello attuale. Ad esempio concedendo qualche anno in più per depositare bilanci in pareggio rispetto all’attuale scadenza, magari in cambio di multe o altre restrizioni sulla rosa. La disponibilità della Uefa non è in dubbio (soprattutto in ottica SuperChampions dove un brand come quello rossonero pesa ancora). I problemi potrebbero nascere dalle contestazioni degli altri club, soprattutto italiani, su eventuali soluzioni di compromesso. Ma qui, appunto, si entra in un alveo “politico” in cui le variabili in gioco diventano plurime e i precedenti della “giurisprudenza” Uefa meno solidi (come si regolerà ad esempio la Uefa con City e Psg?).