L’asse Italia-Cina, la nuova Via della Seta e il calcio. Anche la Figc e la Lega di Serie A avranno modo di approfondire in queste ore le possibili sinergie con la Cina nell’ambito della visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma. Il presidente della Figc Gabriele Gravina, il presidente e l’ad della Lega Serie A, Gaetano Micciché e Luigi De Siervo ne discuteranno con i rappresentanti di Pechino che stanno accompagnando Xi, in particolare con i funzionari di China Media Group, principale gruppo media statale. Si parlerà, ad esempio, della possibilità di disputare una partita ufficiale del calcio tricolore in Cina, nel quadro di un accordo pluriennale sul modello di quello siglato con l’Arabia Saudita per la Supercoppa. Quindi potrebbe essere una gara di Coppa Italia o la stessa Supercoppa una volta concluso il contratto con Riad. Non perciò una partita di Serie A. La Fifa lo scorso anno si è opposta nettamente all’ipotesi che si svolgesse un match della Liga tra Girona e Barcellona negli Stati Uniti per questioni di “territorialità” dei campionati. Anche se la Liga guidata da Javier Tebas ha minacciato ricorso al Tas e ribadito l’intenzione di disputare al più presto una partita negli Usa, sulla falsariga degli sport americani (basket Nba, football Nfl, baseball Mlb e hockey Nhl), che ormai di consuetudine esportano alcuni match in altri continenti.
Altri punti di un possibile “Memorandum” calcistico potrebbe riguardare la formazione di tecnici e giovani promesse cinesi ovvero lo sviluppo del sistema Var nel torneo dell’Ex Impero di Mezzo.
La Cina frena le spese pazze nel calcio. Ma la serie A è strategica
Pechino e il calcio Ad ogni modo, l’interesse per Il calcio-entertainment da parte del Governo cinese è sempre alto, anche se è più “moderato”. Il flusso che ha portato le imprese cinesi a rilevare una trentina di club tra il 2016 e il 2018 in tutta Europa, con un esborso di quasi tre miliardi di euro, nell’ambito di un poderoso piano di sviluppo voluto proprio dal Presidente Xi Jinping per portare la Cina a ospitare i Mondiali del 2030 e vincerli entro il 2050, appare ora bloccato. Così come appare frenato il calciomercato dei club cinesi, i cui bilanci sono in profondo rosso. Se nel 2016 tra la finestra invernale e quella di riparazione estiva erano stati spesi 469 milioni di euro e nel 2017 431, nel 2018 e nel 2019 la Chinese Super League ha speso in tutto circa 250 milioni. Su questo fronte ha inciso la “Luxury tax” voluta dalla General Sport administration, ente governativo che sovraintende allo Sport. In pratica, i club cinesi che vogliono comprare un calciatore straniero sborsando cifre superiori a 6 milioni di euro sono costretti a pagare una tassa pari al 100% della transazione, mentre per gli acquisti interni la soglia oltre cui scatta la luxury tax è di circa 2,5 milioni di euro. Queste risorse sono destinate poi a un fondo per lo sviluppo del calcio cinese. Dal 2017 sono stati così introdotti: il limite agli stranieri impiegabili (non più di tre contemporaneamente in campo), l’obbligo di schierare un giovane cinese under 23 e di averne un altro in panchina, l’obbligo per ogni club di destinare al vivaio almeno il 15% annuo del budget.
Cina, «troppe aziende indebitate per comprare squadre di calcio straniere»
Il football nel “comunismo di mercato” Il progetto di Xi è infatti quello di valorizzare il football della Cina che nonostante gli sforzi finanziari di questi primi anni ha visto la Nazionale maggiore eliminata dalla corsa al Mondiale russo e fare un brutta figura nell’ultima Asian Cup, tanto da veder esonerato l’allenatore Marcello Lippi (al suo posto in panchina si è seduto Fabio Cannavaro). Dopo i primi due anni della nuova era calcistica cinese Xi Jinping ha optato per un maggiore dirigismo. Gli investimenti all’estero dovranno essere funzionali ad assorbire il know how del settore calcistico – dalla formazione atletica e tattica alle strategie e tecnologie media – e l’importazione di stranieri dovrà servire ad elevare il tasso tecnico del torneo nazionale. Il Governo centrale comunista vuole un calcio popolare non un calcio votato alle spese pazze e alla vanità dei singoli. Per cui gli investimenti cinesi saranno sempre più mirati. Per questo, il primo fondo di investimento privato della Cina, Orient Hontai che sta realizzando importanti progetti in patria nei settori della tecnologia e dei media ha acquisito per circa un miliardo di euro la maggioranza di Imagina, la holding che controlla il colosso catalano di produzione Mediapro detentore dei diritti tv del calcio spagnolo (e per un periodo anche della Serie A, anche se la partnership è poi naufragata). E Wanda per una cifra analoga ha acquisito il controllo di Infront, fino al 2021advisor della Lega di Serie A. Lo stesso approccio mirato varrà per le squadre di calcio in orbita cinese. L’Inter di Zhang Jindong, da sempre vicino al presidente Xi e inserito a pieno titolo nella delegazione in vista in Italia, è considerato il fiore all’occhiello dell’espansione cinese nel calcio del Vecchio Continente. La diligenza di Suning “cara” al leader cinese è il buon esempio da mostrare con fierezza ai mercati internazionali: Pechino sa investire, e non butta via i soldi, neppure nel dispendioso mondo del calcio.