Dal 1986 in trent’anni Silvio Berlusconi ha investito nel Milan 820 milioni di euro. Si tratta dei soldi immessi nelle casse del club rossonero sotto forma di versamenti o aumenti di capitale. Il calcolo peraltro è fermo a marzo 2016. Fino al passaggio di proprietà al consorzio cinese in procinto di rilevare la società, la Fininvest, che ne controlla il 99,9% dovrà staccare altri assegni che potrebbero portare l’esborso complessivo vicino ai 900 milioni. Il mancato accesso alla Champions ha zavorrato infatti i conti rossoneri abbattendo il fatturato dai 329 milioni del 2012 (con 53 di plusvalenze) ai 220 del 2015, costringendo l’azienda di famiglia a girare al team calcistico soltanto nel 2015 ben 150 milioni. Inoltre, a febbraio 2016, la Fininvest ha aperto a favore del club una linea di credito di ulteriori 70 milioni. Nei bilanci chiusi al 31 dicembre 2014 e al 31 dicembre 2015 si è accumulato un deficit di 180 milioni. Tra il 1986 e il 2016 il rosso totale è stato di oltre 720 milioni e solo tre volte l’Ac Milan ha raggiunto l’utile (1,6 milioni nel 1991, 2 nel 2000 e 11,9 nel 2006). Certo una quota di queste perdite è stata convogliata nel consolidato fiscale del Gruppo per cui è stato abbattuto l’imponibile garantendo il pagamento di minori imposte, ma di certo l’epopea milanista è costata molto alla Fininvest. Sempre meno che quella nerazzurra a Massimo Moratti che ha versato nell’Inter circa 1,3 miliardi. Mecenatismo che ha regalato a Silvio Berlusconi quasi un trofeo a stagione (28 per l’esattezza), una popolarità mondiale e un volano non da poco per la discesa in nell’agone politico. Senza una svolta industriale però neppure i 100 milioni spesi nel calciomercato estivo 2015 hanno permesso di invertire il declino delle ultime stagioni. Ecco perché per Berlusconi è (forse) arrivato il momento di fare “bene“ del Milan in altro modo.