Germania uber alles. Neanche a dirlo, è la Germania a dominare con i ricavi provenienti dalla cessione dei naming rights degli stadi. Il caso più celebre è quello della Allianz Arena di Monaco, stadio di proprietà del Bayern Monaco e del Monaco 1860, costruito in occasione dei Mondiali 2006. Il colosso finanziario Allianz si è assicurato i diritti sul nome per una cifra pari a 5,8 milioni di euro per 30 anni. Una pratica comune anche per stadi non di proprietà delle singole squadre di calcio, come nel caso del Borussia Dortmund. Nel 2005, con la società sull’orlo del fallimento, la Signal Iduna ha acquistato l’allora Westafelnstadion, ottenendo anche i naming rights dell’impianto per 4,5 milioni annui (accordo rinnovato fino al 2021 per 5 milioni a stagione). Al di là delle cifre stratosferiche derivanti da accordi tra colossi finanziari e grandi squadre, persino realtà modeste come l’Eintracht Braunschweig hanno potuto godere di maggiore potenza economica grazie alla cessione di questi diritti. Nel 2008, con la squadra in terza serie, un gruppo di compagnie locali ha deciso di acquistare lo stadio e di intitolarlo “Eintracht Stadion”, versando alla società 200.000 euro per tre anni. Tre anni in cui, guarda caso, i gialloblù sono stati protagonisti di una straordinaria cavalcata verso la Bundesliga.
Ricavi da record. In media, gli introiti provenienti dalla cessione dei naming rights nella sola Bundesliga possono essere stimati in circa tre milioni di euro annui, tralasciando casi particolari come quello della Volkswagen Arena, stadio di proprietà della Volkswagen AG, una partnership tra la nota casa automobilistica e il Wolfsburg. Non è tanto diversa la situazione in Inghilterra, dove il fenomeno va espandendosi sempre più sulla scia delle sponsorizzazioni multimilionarie di Emirates (Arsenal, 2,8 milioni di sterline annue soltanto per i naming rights dello stadio) ed Etihad (Manchester City, per il quale si parla addirittura di 10 milioni di sterline all’anno). L’ultimo esempio arriva col Pride Park Stadium del Derby County, squadra che milita nella Championship, che per i prossimi dieci anni si chiamerà iPro Stadium. Una sponsorizzazione che frutterà circa 7 milioni di sterline nelle casse del club inglese, con l’esordio previsto per il 7 dicembre in occasione della sfida col Blackpool, match che verrà trasmesso anche in diretta tv.
La situazione in Italia. A parte il caso Juventus, ci sono altri due casi di cessione dei naming rights che riguardano stadi di proprietà dei Comuni. A Reggio Emilia, lo Stadio Città del Tricolore è diventato a partire da questa stagione Mapei Stadium, in concomitanza con l’accordo biennale per l’affitto della struttura al Sassuolo. Non è la prima volta che lo stesso stadio prende il nome di uno sponsor, essendo nato sotto la dicitura “Stadio Giglio” per via dell’accordo con la ben nota industria lattiero-casearia. A Siena, invece, è dal 2007 che allo storico “Artemio Franchi” è stata affiancata la denominazione “Montepaschi Arena”, a riconoscimento dell’impegno profuso dall’istituto di credito senese nei confronti della squadra. Dal fronte politico, proprio in questi giorni, sono arrivate (si spera) buone notizie. La nuova disciplina sull’impiantistica sportiva è stata infatti inserita nella legge di Stabilità, attraverso una norma composta da due parti: la prima integra il fondo di garanzia per la costruzione, l’ammodernamento e l’acquisto di impianti sportivi con 10 milioni nel 2014, 15 milioni nel 2015 e 20 milioni per il 2016. La seconda invece semplifica i tempi in un periodo di 14/15 mesi. Un ulteriore passo avanti per rendere gli impianti italiani all’altezza di quelli europei