Nasce il progetto “Gea Tutor” per aiutare gli sportivi a non “perdere” tutto nel dopo carriera

Si chiama "Gea Tutor" ed è il progetto lanciato dalla Gea World per offrire agli sportivi un programma idoneo a organizzare la fase successiva alla fine della carriera agonistica. Il senso dell’iniziativa è stato spiegato qualche giorno fa a Roma nella sala del Cenacolo, nel complesso di vicolo Valdina della Camera dei Deputati, dai vertici della Gea World, società che chiusa l’attività legata alle procure dei calciatori, ha spostato il fulcro della propria attività nelle consulenze a 360 gradi agli sportivi e alle società soprattuto all’ambito delle iniziative dirette ad aumentare i ricavi commerciali.

"Gea Tutor", dunque, si propone come una delle possibili soluzioni percorribili da quegli atleti che, negli ultimi anni della loro carriera, non hanno idee chiare sul come gestire la transizione dall'attività agonistica a quella post-ritiro. A seguirli è chiamato un gruppo di professionisti coordinato dal coach team project Giancarlo Marchetti. Il programma base consiste in un ciclo di venti incontri personalizzati a domicilio per un anno. L'obiettivo è quello di istruire l'atleta nella maniera più semplice e completa in tutti gli ambiti: dalla programmazione dell'uso delle proprie risorse economiche, dalla presa di coscienza della propria situazione fisiatrica a quella nell'ambito famigliare. “Troppi sportivi arrivano alla fine della propria carriera senza sapere cosa faranno una volta smesso di gareggiare – ha spiegato infatti il direttore generale di Gea Carlo Oggero, commentando una ricerca della Figc secondo cui il 61% degli ex calciatori non ha attività lavorative -. Gea non pretende di aver la soluzione in tasca ma vuole contribuire a sollevare un problema diffuso, aiutando a dare agli atleti nuovi stimoli per una vita forse meno ricca di adrenalina ma comunque soddisfacente”.

Uno studio inglese ha rivelato che circa il 60% dei calciatori dopo la fine della carriera bruciano i propri guadagni entro 5 anni e secondo “Sport Illustrated” la stessa cosa accade al 60% degli ex giocatori Nba e quasi all’80% di quelli della Nfl. Il percorso, secondo l’esperienza Gea, deve essere intrapreso diversi anni prima della fine della carriera agonistica proprio per aver modo di "maturare" una maggior consapevolezza delle difficoltà che si dovranno affrontare una volta usciti dall'isolamento che contraddistingue la vita dello sportivo evitando di finire, come spesso accade, nel vortice della depressione. Anche i numeri degli sport diversi dal calcio non sono incoraggianti e evidenziano come il problema non possa più essere rimandato: “Il 60% dei campioni azzurri dell’atletica leggera – ha spiegato Massimo Magnani, direttore tecnico delle squadre azzurre della Fidal – non ha fatto ancora alcun passo in previsione della fine della loro carriera, e il 78% di loro si aspetta un aiuto da società o federazione”.

Positivo il commento di Valentina Vezzali,  sei volte olimpionica e componente della commissione cultura, scienza e istruzione di Montecitorio: "Bisogna avviare molte iniziative come questa, che stimolino ed aiutino gli atleti a pensare al loro futuro mentre sono nel pieno della loro attività e non solo quando l'hanno terminata. Dopo una lunga carriera in un contesto particolare come quello dello sport non è facile né immediato reinventarsi una professione, soprattutto quando ci si trova alla soglia dei 40 anni”.

"Dobbiamo sviluppare un maggior senso di responsabilità – ha aggiunto Alessandro Moggi, presidente di Gea World -. Non possiamo limitarci ad occuparci delle questioni professionali degli atleti, senza mettere l'essere umano al centro dell'attenzione".

  • agostino ghiglione |

    Un tempo le Società che contavano si premuravano di dare ai giocatori una opportunità di lavoro alla fine della carriera(a 30/32 anni).In generale diventavano titolari di Agenzie di Assicurazioni o di pubblicità.Potevano così sfruttare tutti la immagine dello sportivo affermato.
    Pensare alla finanza per dare aiuto mi sembra veramente poco “resposabillizzante”.

  • agostino ghiglione |

    Un tempo le Società che contavano si premuravano di dare ai giocatori una opportunità di lavoro alla fine della carriera(a 30/32 anni).In generale diventavano titolari di Agenzie di Assicurazioni o di pubblicità.Potevano così sfruttare tutti la immagine dello sportivo affermato.
    Pensare alla finanza per dare aiuto mi sembra veramente poco “resposabillizzante”.

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