Numeri, numeri e infografiche, per capire il calcio nella sua valenza economica e nelle sue possibilità mancate (per quel che tocca la Serie A). La fase di difficoltà del calcio italiano viene raccontata attraverso il linguaggio sintetico e immediato delle cifre ne “Il calcio conta – Annuario di infografiche nel pallone” il libro di Gianfranco Teotino, Michele Uva e Niccolò Donna (edito da Rai Eri-Bur) presentato a Roma. Un malessere che ha portato il calcio made in Italy a perdere di competitività rispetto agli altri campionati europei. A conferma di ciò ci sono i dati in arrivo dalla Francia, nelle scorse settimane la Ligue 1 ha ceduto i diritti tv domestici per il quadriennio 2016-2017/2019-2020 per un totale di 3 miliardi di euro circa. E la crescita dei fatturati nel Vecchio Continente negli ultimi 15 anni conferma il buono stato di salute: +326% in Premier League, +322% in Bundesliga, +288% in Ligue 1, +237% nella Liga spagnola e +185% in Serie A. Ma il progresso nel Belpaese resta modesto, nell’ultimo triennio è stato del 2,5% a fronte del 17,7% dell’Inghilterra e del 12,5% tedesco.
Dal 2012-2013, per il secondo anno di seguito, il valore della produzione della A è cresciuto più del costo di produzione. Le entrate complessive sono state pari a 2.307 milioni, +7,5%, crescita dovuta soprattutto ai ricavi da diritti media, +8,1%. Nello stesso periodo il costo della produzione della Serie A è salito da 2.376 a 2.472 milioni, +4,1%, nel 2012-2013, è invece cresciuto solo dell’1% il costo del lavoro. La società col costo del lavoro più alto è il Milan, 183,8 milioni. Si è un po’ fermata la crescita dei costi, in A il valore della produzione è cresciuto più dei costi; complessivamente le 20 società di A che hanno perso 201 milioni con un deficit aggregato in calo del 33% negli ultimi due anni. Il trend ci dice che l’Italia pallonara sta diventando un Paese esportatore di campioni. Ancora troppo ampie le rose: nel 2012-2013 i calciatori professionisti tesserati erano 1.127, 56,3 a squadra. In calo l’affluenza di pubblico, a livello di Serie A siamo a una media di 22.591 spettatori a partita a fronte dei 42.624 della Bundesliga e agli oltre 35mila della Premier.
Alla base del problema ci sono impianti desueti con una età media di 64 anni: nessuno stadio italiano è considerato dall’Uefa in categoria ‘elite’. Un esempio il modello Germania dove gli stadi nel periodo 2003-2012 hanno fatto registrare ricavi al botteghino del 113%, +57% in Liga a fronte dell’11% in più in Italia. Serie A indietro anche nel settore delle sponsorizzazioni e delle attività commerciali: nel 2012-2013 l’intera A ha realizzato entrate di 341 milioni ma resta impietoso il confronto con gli altri. Nell’ultimo anno il solo Bayern Monaco ha portato a casa 237 milioni, 211 il Real Madrid mentre in Italia il Milan, leader nel settore, non
arriva a 100 milioni, a 68,4 la Juve. Da sfruttare di più i giovani: in Europa è il Barca la società che ha prodotto più giocatori attivi. L’Italia ha invece il record di età media più alta dei suoi calciatori, 27,32 anni. Un dato che è il segno dei tempi le reti degli stranieri in A salite dal 34,6% della stagione 2004-2005 al 52,6% del 2012-2013.
La Germania è un punto di riferimento, mentre l’Italia insegue anche nello spread del pallone. Negli ultimi anni, infatti, il differenziale tra la Serie A e la Bundesliga è costantemente peggiorato: dal -172 del 2007-2008 al -270 del 2011-2012. Migliore soltanto della francese Ligue 1 (-290) ma superiore alla Premier League inglese (-174) e alla Liga spagnola (-146). La nostra Lega, infatti, è cresciuta (+2.5% nel triennio 2009-2012) ma non abbastanza: il massimo campionato inglese tocca un +17.7%, quello tedesco +12.5%,quello spagnolo +8.8%, il francese +6%.