C’è una trama che tiene agganciate le vicende, solo apparentemente distanti, che in questi giorni funestano lo Sport System italiano. Un misto tra disfattismo e nichilismo in cui si arena l’Italia migliore.
Dopo l’inopinato abbandono della corsa alle Olimpiadi del 2024, questo clima nefasto si sta abbattendo sul progetto da 1,6 miliardi del nuovo stadio della Roma da edificare a Tor di Valle e sulla Ryder Cup di golf del 2022. Tra superficialità e conformismo si rischia, per altri versi, di non cogliere appieno le cause (e le relative cure) di infezioni gravissime come quelle portate alla luce dall’attentato incendiario subito dal patron del Pescara Daniele Sebastiani e dalle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle curve, incluse quelle dell’”avamposto” più moderno della Serie A, lo Juventus Stadium. A tal proposito la Commissione parlamentare Antimafia ha da poco istituito un comitato, coordinato da Marco Di Lello (Pd), che in queste settimane studierà le dinamiche delle connessioni in atto tra mafie e manifestazioni sportive. Dall’inchiesta torinese “Alto Piemonte” legata al fenomeno del bagarinaggio a quella catanese dei “Treni del Gol” , da cui emerge un sistema di partite truccate e di fenomeni estorsivi anche a danno dei calciatori, con tifoserie contaminate d alla criminalità organizzata. Un’iniziativa parlamentare lodevole, a patto che non ci s’incarti in uno di quei rapporti d’ordinanza destinati alla polvere dei sottoscala.
Eppure, sconta anch’essa la mancanza di un approccio globale e strutturale allo Sport System contemporaneo. L’industria sportiva in Europa vale circa il 3% del Pil e ha ricadute incommensurabili sul turismo, sul welfare e sull’educazione dei giovani. È un settore nevralgico per le politiche economiche e sociali. Lo si è compreso in tutto il mondo, tranne che in Italia dove questa consapevolezza stenta a sedimentarsi. La mancanza di una cultura dell’industria sportiva è ancora più controproducente della scarsa cultura sportiva (Juve-Inter docet) che affligge questo Paese. La classe dirigente, sportiva e non, dovrebbe comprenderlo prima e più degli altri e prendersi finalmente sul serio. Pretendere da se stessa il meglio è il primo passo per ottenere il rispetto degli altri e delle istituzioni politiche. Senza prestare continuamente il fianco a pressappochisti e arruffapopolo. Solo in un Paese che giorno dopo giorno si sta intristendo, smarrendo il senso e l’orgoglio della sfida, si può assistere a uno stillicidio di polemicucce e infingimenti che imbastardiscono il dibattito pubblico impedendo ai più di penetrare il merito e l’opportunità di certe scelte.
p.s.
Auguri ad Ernesto Colnago per i suoi 85 anni, un manifesto del ciclismo e di quel made in Italy che dal Dopoguerra non ha mai smesso di sognare e di creare il proprio domani.
(pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’11 febbraio 2017)