Gli attentati a firma Isis provocano ripercussioni politiche nel mondo arabo. Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrein hanno infatti annunciato lo stop dei rapporti diplomatici con il Qatar, in seguito a crescenti tensioni tra i Paesi del Golfo circa il presunto appoggio qatariota a gruppi islamisti. In questo scenario pubblichiamo alcuni stralci estratti dal libro «I veri padroni del calcio» scritto dal giornalista del Sole24Ore Marco Bellinazzo (Feltrinelli editore) – Dal Sole 24 Ore in edicola oggi
La domanda che si pone l’Occidente in questo tragico scenario geopolitico è se sia giusto premiare il mondo islamico e concedere a un paese come il Qatar (2,2 milioni di abitanti, di cui solo poco più di trecentomila qatarioti) di ospitare per la prima volta nella storia il Mondiale di calcio. Il clima internazionale è tutt’altro che favorevole. Dalle reiterate denunce di organizzazioni del lavoro e di Amnesty International relative agli abusi sugli stranieri impiegati nei cantieri, alle perduranti insinuazioni sui brogli architettati da bin Hammam per ottenere l’assegnazione. Per quanto Hassan al-Thawadi, segretario generale del Comitato organizzatore della Fifa World Cup 2022, abbia sempre negato che bin Hammam avesse svolto un ruolo “ufficiale o ufficioso” per la candidatura. Ribadendo piuttosto che “il governo ha dimostrato il suo impegno con l’annuncio di riforme del lavoro che mostrano la volontà di usare questo torneo come catalizzatore per il progresso sociale”. Nel febbraio 2016 la dirigenza qatariota del Paris Saint-Germain e il presidente al-Khelaïfi vengono accolti con bordate di fischi dai tifosi del Saint-Etienne, i quali durante la partita allo stadio Geoffroy-Guichard espongono striscioni come questo: “Il Parc è diventato un cimitero, i vostri soldi non li porterete in paradiso. Pray for Paris”. Gli ultrà protestano contro il divieto di megafoni, tamburi e fumogeni al Parc des Princes, ma le allusioni agli attentati di Parigi e al presunto finanziamento della jihad da parte del Qatar sono palesi.
Il vero nodo da sciogliere riguarda le ambiguità e le contraddizioni del Qatar che, da un lato, ha scommesso sull’amicizia con l’Occidente, ritagliandosi un ruolo da mediatore e pacificatore, ma dall’altro lato non ha mai troncato i legami con l’estremismo islamico (in particolare con i Fratelli musulmani) e i raggruppamenti più propensi alla Guerra santa. Il Qatar, infatti, ha appoggiato o partecipato con le proprie forze armate alle principali missioni militari della Nato degli ultimi anni. Ospita la più grande base aerea americana in Medio Oriente, oltre che lo Us Combat Air Operations Center, ed è un ottimo cliente per l’industria militare statunitense. Ha tenuto aperte le porte a una rappresentanza israeliana a Doha fino alla guerra di Gaza del 2008, ha costruito uno stadio nella città di Sahnin in Galilea, erogando fondi a squadre di calcio arabo-israeliane. L’emirato, inoltre, ha potenziato le relazioni con l’Occidente con un percorso di diversificazione, reinvestendo i ricavi delle esportazioni energetiche (il paese detiene le terze riserve al mondo di gas naturale liquefatto) in altri comparti, dalla tecnologia al turismo, e in grandi compagnie occidentali. Qatar Investment Authority, il fondo sovrano istituito nel 2005 dall’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani ha acquisito nel corso degli anni duemila quote di rilievo, tra le altre, in Airbus, London Stock Exchange, Volkswagen, Lagardère, Virgin Megastore, Hsbc, Credit Suisse e Veolia Environnement. La compagnia di bandiera Qatar Airways ha intrapreso una campagna di espansione globale e nel 2016 è entrata anche nell’italiana Meridiana. E sempre in Italia, sono stati rilevati i grattacieli di Porta Nuova, l’Hotel Gallia e altri alberghi di lusso, oltre che la maison Valentino. Come a Londra Harrods.
Soft power in versione qatariota
Questa strategia di soft power, diretta a migliorare e raffinare l’immagine internazionale, secondo le nozioni del politologo statunitense Joseph Nye, ha nello sport e nei media due capisaldi. A supportarne l’evoluzione è il Qatar Sport Investments (Qsi), braccio della Qatar Investment Authority. In poco più di dieci anni, dal 2006, quando ha ospitato i Giochi asiatici, il Qatar è diventato la nuova mecca dello sport globale. Nella capitale Doha si svolgono tornei di tennis dell’Atp e della Wta, il Qatar Masters di golf inserito nello European Tour, una tappa del motomondiale sul circuito di Losail e la Golden League di atletica. Nel 2016 il Qatar è stato sede di una novantina di eventi sportivi internazionali o continentali, inclusi i Mondiali di bowling e la Desert Cup di hockey su ghiaccio. Doha ha organizzato nel dicembre 2014 i Mondiali di nuoto in vasca corta, nel 2015 il campionato mondiale di pallamano (manifestazione in cui ha sfiorato la vittoria contro la Francia, allestendo una Nazionale multietnica con giocatori naturalizzati di Bosnia, Egitto, Cuba, Spagna, Iran, Montenegro, Siria e Tunisia) e nel 2016 il Mondiale di ciclismo (a febbraio si corre il Tour of Qatar). Nel 2018 nell’emirato si terranno i Mondiali di ginnastica e nel 2019 quelli di atletica, per i quali il Qatar ha battuto la candidatura di Barcellona, scatenando l’ira di José María Odriozola, presidente della Federazione spagnola: “Doha non ha altro che soldi e petrolio. Con i soldi non si può comprare tutto”. Aggiungendo che il Comitato promotore qatariota avrebbe fatto leva su un bonus di 37 milioni di dollari elargito alla Iaaf per “valorizzare” il proprio dossier.
L’investimento principe in ambito sportivo è, in ogni caso, quello nel Paris Saint-Germain, comprato dal Qatar Sport Investments nel maggio 2011 dal fondo Usa Colony Capital. Nella carica di presidente viene insediato Nasser Ghanim al-Khelaïfi, presidente della Federazione qatariota e vicepresidente della Federazione asiatica di tennis, che dà subito fuoco alle polveri con campagne di mercato faraoniche che portano a esibirsi al Parc des Princes, tra gli altri, Pastore, Beckham, Lavezzi, Verratti, Thiago Silva, Ibrahimović, Lucas, Cavani e Di Maria. Spese per oltre 600 milioni che hanno spinto il Psg al vertice del calcio europeo per risultati (con titoli francesi messi in bacheca in serie e una partecipazione costante alle fasi finali della Champions) e anche per fatturato. Prima dell’avvento degli sceicchi, i ricavi del Psg raggiungevano a malapena i 100 milioni all’anno, mentre oggi viaggiano intorno al mezzo miliardo. Un incremento al quale Doha ha contribuito massicciamente con le sponsorizzazioni del gruppo Ooredoo, società di telecomunicazioni del Qatar, o della Qatar National Bank. Ma soprattutto attraverso l’accordo con la Qatar Tourism Authority. Il contratto tra Psg e Qta firmato nel dicembre 2012 prevede il riconoscimento di premi tra i 150 e i 200 milioni di euro all’anno. La Uefa ha contestato queste transazioni che aggirano i paletti del fair play finanziario irrogando al Psg (blande) sanzioni nel maggio 2014, tra cui una multa di 60 milioni. Per il Qatar, però, più che un canonico contratto di sponsorizzazione la partnership con il Psg rappresenta una forma di promozione unica per il paese, anche in vista dei Mondiali di calcio 2022 e va salvaguardata e prolungata almeno fino a quell’appuntamento.
La Primavera araba: da piazza Tahrir a Port Said
Durante i moti della Primavera araba, Doha non ha esitato ad adoperare proprio l’arsenale mediatico di al-Jazeera per sorreggere i Fratelli musulmani. Le rivolte si propagano come una lunga fiammata dalla Tunisia, dove il 18 dicembre 2010, Mohamed Bouazizi si dà fuoco per protestare contro i brutali maltrattamenti subiti dalla polizia, innescando la cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini, che obbliga il presidente Ben Ali, dopo venticinque anni di regno, alla fuga in Arabia Saudita. Come in un effetto domino, la ribellione si diffonde nel mondo arabo, coinvolgendo, tra la fine del 2010 e il 2011, molti paesi e sfociando in più di un caso in guerre civili, dalla Libia alla Siria, all’Egitto. Al Cairo, il 25 gennaio 2011 decine di migliaia di manifestanti si radunano in piazza Tahrir per opporsi alle politiche vessatorie del presidente Hosni Mubarak. In pochi giorni piazza Tahrir viene occupata da un milione di persone e diventa il fulcro delle speranze di riforma degli egiziani e di tutta la gioventù araba. Ma la notte del 2 febbraio militari e fautori del regime di Mubarak aggrediscono gli oppositori, difesi soprattutto dagli ultrà delle due squadre di calcio della capitale egiziana, l’al-Ahly Sporting Club e l’el-Zamalek.
Doha e i Fratelli musulmani
Dunque il Qatar, amico dell’Occidente, è allo stesso tempo un finanziatore dei Fratelli musulmani e delle loro articolazioni territoriali, dall’Egitto ai palestinesi di Hamas. La Fratellanza per diversi governi arabi, tra i quali Bahrein, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, è né più né meno di un’organizzazione terroristica. Per questo nel marzo 2014 questi paesi hanno ritirato i loro ambasciatori da Doha, acuendo i sospetti di esperti e centri studi, soprattutto americani. Nell’agosto 2014 l’ex ambasciatore israeliano all’Onu Ron Prosor ammoniva dalle colonne del “New York Times”: “È tempo che il mondo si svegli e senta da dove viene la puzza di fumo. Il Qatar non ha lesinato risorse nel tentativo di presentarsi come paese liberale e progressista, quando in realtà questa micromonarchia finanzia aggressivamente l’Islam radicale”. In questo senso, è ritenuta centrale la figura di al-Nu’aymi, storico delle religioni e soprattutto ex presidente della Qatar Football Association. In carcere dal 1988 al 1991 per la sua opposizione alle riforme sui diritti delle donne, al-Nu’aymi, tra il 2013 e il 2014, è stato iscritto nelle black list di Washington, di Bruxelles e dell’Onu per aver versato ingenti somme ad al-Qaeda, ai jihadisti somali di al-Shabaab e a quelli di Aqap in Yemen.
Doha ha provato a ricucire questi strappi con le altre monarchie del Golfo attraverso una pragmatica revisione delle proprie strategie (limitando ad esempio gli spazi pubblici concessi ai Fratelli musulmani) e sollecitando la mediazione del re Abd Allah di Giordania. Un aiuto che il monarca non ha potuto certo negare, facendo grande affidamento sulle sovvenzioni del Gulf Cooperation Council, creato nel 1981 per difendere i regimi sunniti dall’espansionismo iraniano. Nel 2011 il Gcc, di cui fanno parte Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Bahrein, Oman ed Emirati Arabi Uniti, ha approvato un prestito quinquennale alla Giordania di 5 miliardi di dollari e Doha si è assunta l’impegno di staccare un assegno di 1,25 miliardi. All’incontro tra al-Thani e re Abd Allah nel marzo 2014 ha preso parte anche il suo fratellastro, il principe Ali bin al-Hussein. Prima di dedicarsi al calcio e alla Fifa, il principe è stato al comando delle guardie del corpo del re nel 1999 e direttore del Centro nazionale per la sicurezza e la gestione delle crisi. In questa veste ha gestito, tra le altre cose, il dossier Hamas, a sua volta considerata un’organizzazione terroristica da Unione europea e Stati Uniti. Hamas aveva la sua sede ad Amman, ma nel 1999, con l’ascesa al trono di re Abd Allah, è stata espulsa dal paese. Nel 2012 la Giordania ha riammesso il suo leader, Khaled Mesh’al, rifiutandosi però di riaprire la sede del movimento.
La Giordania ha dunque contribuito a favorire la distensione tra Qatar e Arabia Saudita, che si è concretizzata lungo due direttrici: la Libia e lo Yemen. Nel Maghreb, dove Riad intende dilatare l’influenza wahabita e impadronirsi di una parte delle risorse energetiche (nel sottosuolo libico ci sono riserve per quasi 50 miliardi di barili), Doha ha preso parte alla missione militare per liberare Tripoli con centinaia di uomini e mettendo a disposizione dei ribelli oltre 400 milioni di dollari. Nello Yemen, nel settembre 2015, Doha ha spedito invece mille soldati, duecento veicoli corazzati e trenta elicotteri Apache per integrare la coalizione guidata dall’Arabia e composta da dodici stati, tra cui Egitto ed Emirati Arabi, che dal marzo precedente ha intrapreso una campagna per soffocare la rivolta contro il governo centrale del presidente Mansur Hadi dei ribelli houthi, minoranza etnica di religione sciita, sostenuti dall’Iran e dai lealisti dell’ex presidente Abd Allah Saleh.