Il Napoli squadra e il Napoli società sono come due placche tettoniche che tendono ad allontanarsi. La conduzione del presidente Aurelio De Laurentiis finora le ha tenute insieme con sagacia, qualche colpa di buona sorte nelle scelte di tecnici e giocatori – che non guasta mai e che nel calcio rappresenta una forma di fortuna che sconfina spesso nell’ineffabile competenza del “rabdomante” – e una visione europea però sostanzialmente incapace di coniugare una vera crescita aziendale.
I numeri contenuti nel bilancio al 30 giugno 2018 (che gli altri club di norma rendono noti già in autunno) sono l’emblema di questa divergenza.
Se il Napoli in campo ha raggiunto uno status di potenza europea, fuori dal campo non mostra segni di evoluzione significativi. A onore della gestione De Laurentiis va detto che il Napoli grazie a una lunga serie di bilanci in utile è il club più liquido della Serie A e probabilmente tra i più liquidi in Europa. In cassa ci sono 118 milioni (custoditi presso Unicredit). Non ci sono debiti finanziari. I debiti totali, pari a 144 milioni, sono per due terzi legati al calciomercato a fronte di 66 milioni di crediti totali.
Se lo stato patrimoniale non desta la minima preoccupazione (si pensi anche al valore della rosa letteralmente “esploso” in queste annate), il conto economico del 2018 rileva la vera debolezza del club causata fondamentalmente da uno stallo nella crescita dei ricavi che dura da troppi anni e che è il riflesso del mancato sviluppo infrastrutturale e commerciale dell’azienda “Sscn”. Uno stallo ancora più grave se commisurata con l’incremento del fatturato di Juve e Inter.
I ricavi da stadio sono stati pari a 19 milioni nella stagione 2017/18, così come in quella precedente. E sostanzialmente in linea con il decennio di De Laurentiis. Il settore commerciale ha prodotto poco meno di 35 milioni tra sponsorizzazioni, proventi pubblicitari e royalties. Un dato in lievissimo miglioramento rispetto all’anno prima. Lo sponsor tecnico Kappa versa 8 milioni. Gli sponsor ufficiali 8,7 milioni.
I ricavi tv pesano per 78,4 milioni (73 per il contratto collettivo di Serie A). I ricavi europei nella scorsa stagione tra Champions ed Europa League hanno raggiunto i 40 milioni (contro i 66 della stagione precedente). Rispetto al bilancio al 30 giugno 2017 (Higuain) le plusvalenze si sono più che dimezzate da 104 a 30 milioni (circa 20 per la sola cessione di Duvan Zapata alla Sampdoria). Il fatturato “strutturale” del Napoli – escluse le plusvalenze e l’Europa – è pari 145 milioni. Cinque anni fa, nel bilancio al 30 giugno 2013 il Napoli aveva un fatturato strutturale pari a 145 milioni, ovvero 115 milioni strutturali escludendo 30 milioni di plusvalenze.
Il problema è che in questi cinque anni i costi della produzione sono saliti di più. Nel 2013 il Napoli pagava 67 milioni di stipendi e aveva ammortamenti (il costo del cartellino spalmato sugli anni di contratto) per 36 milioni circa. La rosa costava in altri termini poco più di 100 milioni. Nel 2018 il Napoli paga ingaggi (sempre incluse le imposte) per 114 milioni ed ha ammortamenti per 65 milioni. Fanno circa 180 milioni. Significa l’80% in più, contro un fatturato strutturale cresciuto nei cinque anni presi a riferimento di meno del 30%. Ecco perché saltare una qualificazione in Champions mette il club nelle condizioni di dover fare plusvalenze di rilievo per non bruciare le riserve fin qui accumulate. Il rosso di 6 milioni del 2018 non preoccupa per l’entità ma per la luce che accende sull’ineluttabile “squilibrio” dei conti partenopei. Uno squilibrio che non permette peraltro di lanciarsi in investimenti importanti né sul piano degli impianti né su quello della governance aziendale. Il Napoli tra dirigenti e impiegati conta una cinquantina di dipendenti. La Juve viaggia sui 500.
A questo punto e in vista della rivoluzione Super Champions dal presidente De Laurentiis ci si attende maggiore chiarezza sul futuro societario. Dove vuole andare il Napoli? Ancelotti o non Ancellotti con questi ricavi sarà difficile competere ancora a lungo ai livelli a cui il nuovo Napoli ha abituato i suoi tifosi in questi anni. Senza programmazione aziendale prima o poi anche la squadra potrebbe risentire dello scarso abbrivio economico.