Il Calcio Italiano Spa fatica a ripartire: 250 milioni di rosso nel 2018 e 4,2 miliardi di debiti

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La ricostruzione del Calcio italiano Spa è lenta e difficoltosa. Il processo è avviato e qualche segnale positivo comincia a consolidarsi, ma le fondamenta della piramide restano piuttosto friabili. La fotografia della che emerge dal ReportCalcio 2019, l’annuale studio della Figc realizzato in collaborazione con Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e PwC (PricewaterhouseCoopers), presentato al Senato, racconta questo.

I dati positivi

Il giro d’affari dei tre campionati professionistici nella stagione 2017/18 ha superato per la prima volta i 3,5 miliardi di euro, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente. A fare da traino è stata la Serie A con oltre 3 miliardi di ricavi (+5,7%). La principale fonte di entrate per il massimo torneo tricolore resta quella dei diritti tv (1,2 miliardi) che, che nonostante una leggera flessione (-0,6%) continuano a pesare per circa un terzo del valore complessivo. Tuttavia appaiono in crescita  i proventi da  stadio che superano i 300 milioni (+32%), nonostante gli impianti italiani in media risultino sempre più vecchi con un’età media di di 61 anni.  Anche le entrate da sponsor e attività commerciali   risultano in rialzo dell’8% a quota 517 milioni. C’è da dire perà che  la fetta maggiore degli incrementi è ascrivibile  alle big. Oltre la metà del fatturato è generato, infatti,  da   Juventus, Inter, Roma, Milan e Napoli.

Il rovescio della medaglia

Qui però gli elementi per sorridere finiscono. «Non è tutto oro quel che luccica nel calcio italiano: se ci fosse un commissario dell’Unione Europea a valutare il sistema calcio, il rapporto debito/Pil sarebbe del 120%. Siete messi meglio dello Stato italiano, ma non troppo…», ha sintetizzato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. Per quanto concerne la Serie A va rimarcato il fatto che su 3 miliardi di ricavi generali, il 23%,  ben 713 milioni, dipende da plusvalenze di calciomercato (considerando anche serie B e C si arriva a 777 milioni).  I costi operativi dei 20 club di A, invece, ammontano a 2,2 miliardi  (con il costo del lavoro salito del 5,8% a circa 1,5 miliardi, di cui 1,3 per il personale tesserato) a cui vanno aggiunti 600 milioni  assorbiti  dagli ammortamenti dei “cartellini”,  112 milioni per altri ammortamenti e 106 milioni di oneri straordinari e finanziari. Significa che senza il ricorso a cessioni  remunerative nella campagna trasferimenti, il sistema sarebbe in grave squilibrio,  con un gap esorbitante tra ricavi e costi totali (2,9 miliardi). Al contrario la perdita per la Serie A è stata contenuta a soli 98 milioni, rispetto ai 30 della stagione 2016/17. Non è caso perciò se i debiti della Serie A sono cresciuti  da 3,6 a 3,9 miliardi in un anno.

Serie B e C in bilico

L’indebitamento globale del calcio italiano sfiora i 4,27 miliardi, con un +6,4% del debito rispetto alla stagione precedente e un risultato netto che peggiora in maniera significativa includendo i conti di B e C fino a toccare i 215 milioni di euro (-37,8%). Nelle serie minori si annida la crisi del modello tricolore, laddove si determinano deficit struttuali che nel 2018 hanno raggiunto i 56 milioni di  rosso in B e i 60 milioni in Serie C. Sui 353 milioni di ricavi della Cadetteria, d’altro canto, il 35% deriva da contributi di solidarietà della  Lega e della Figc, mentre la categoria è composta da società che mediamente ricavano 18,6 milioni e  ne spendono 20,8 milioni, bruciano 3 milioni a stagione. In C, fatte le dovute proporzioni va ancora peggio: le 60 società impegnate nella Lega fatturano mediamente 2,7 milioni  e ne spendono 3,9, con un deficit ”congenito”  di 1,2 milioni.     In altre parole, i club di questi campionati non stanno in piedi autonomamente e necessitano di continue iniezioni di liquidità, salvo  rischiare di estinguersi al primo rovescio, come confermano i copiosi fascicoli aperti nei tribunali fallimentari. Per questo urge una riforma, specie in Serie C che si appresta a festeggiare i 60 anni il prossimo 16 luglio,  dello status professionistico ex legge 91 dell’81 che allegerisca il costo del lavoro (magari in cambio di crediti d’imposta per incentivare interventi su vivai e strutture). Se ne sta discutendo nell’ambito della legge delega  – il cosiddetto “Collegato Sport” – all’esame parlamentare.

L’indotto socio-economico del calcio

Intanto Federcalcio, Pwc e Arel hanno calcolato anche  l’impatto socio-economico del calcio in Italia, che ha superato i 3 miliardi di euro nella stagione 2017-2018. Per questo il presidente Gabriele Gravina ha parlato di un «ruolo fondamentale giocato dal calcio italiano nel sistema paese, sotto il profilo economico fiscale e sociale, essendo  per distacco il principale sistema sportivo italiano, tanto che all’interno del Coni incidiamo per il 24% di tesserati e per il 22% di società affiliate». Gravina ha anche rivendicato il gettito fiscale da 1,2 miliardoi assicurati dal settore: «Negli ultimi 11 anni abbiamo versato 11,4 miliardi di euro al Fisco e ricevuto 749 milioni di euro: per ogni euro che il governo italiano ha investito nel calcio, ha ottenuto un ritorno di 15,2 euro. Un dato che a mio avviso deve far riflettere un po’ tutti».