James Pallotta e i soci Usa hanno dunque deciso di cedere il pacchetto di maggioranza della Roma al Gruppo Friedkin. Il processo di vendita non è ancora concluso come chiarito dal comunicato Consob. Ma lo scoglio maggiore è stato superato con l’accordo sulla valutazione finale del club: 750 milioni. Questo prezzo include la valutazione del fatturato “normalizzato” su una base di circa 230 milioni, contemplando ricavi da stadio, diritti tv, attuali introiti commerciali, ma anche una base di ricavi europei e il valore inespresso del club sempre a livello commerciale (come ad esempio la sponsorizzazione tecnica che ora con Nike è di 5 milioni annui ma che in futuro potrebbe valere il triplo). Questo valore – 230 – è stato moltiplicato per 3 come da prassi finanziaria portando la valutazione a 690 milioni. A ciò si aggiunge la valutazione dello “stadio” per circa 60 milioni, vale a dire quanto speso finora il dossier.
Da questa cifra su cui si è trovato l’accordo – che potrebbe leggermente oscillare in più o in meno alla fine del percorso – va dedotto l’indebitamento, pari a 260 milioni (275 milioni dell’ultimo bond emesso dal club meno 15 già restituiti) e la somma dell’aumento di capitale da 130 milioni che l’acquirente dovrà sostenere.
A Pallotta e soci dunque dovrebbero andare circa 360 milioni, nell’ipotesi di vendita di tutto il pacchetto azionario in loro possesso (ma Pallotta vorrebbe restare anche con una quota di minoranza). Considerando quanto speso fin qui per l’avventura giallorossa tra aumenti di capitale e acquisto, significa per i potenziali ex proprietari della Roma una plusvalenza di circa 70 milioni.
Terminata la due diligence finanziaria ora scatterà quella legale. Se tutto andrà liscio tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio si potrebbe arrivare alla fumata bianca definitiva. E si aprirà la vera partita per il futuro del club: il dossier stadio a Tor di Valle