La fragilità del conto economico e le recenti scelte aziendali del Napoli si possono riassumere e spiegare con due cifre estrapolate dall’ultimo bilancio: 205 e 211 milioni. La prima rappresenta il fatturato strutturale del club di Aurelio De Laurentiis, non considerando le entrate da calciomercato. La seconda indica il costo dell’organico partenopeo, sommando ingaggi e ammortamenti. Nella scorsa stagione, il personale tesserato è costato al Napoli 129 milioni in salari, con un incremento di circa il 15% sull’anno precedente, e 82 milioni per l’ammortamento annuale dei cartellini. In altre parole, per pagare squadra e allenatore (Carlo Ancelotti e staff sono costati 11,6 milioni) al Napoli non è bastato spendere tutto ciò che è stato incassato da botteghino, area commerciale, diritti tv e Champions League. Solo grazie a 94 milioni di entrate derivanti dalla valorizzazione del parco calciatori, tra cui 83 milioni di plusvalenze (60 milioni per la cessione di Jorginho al Chelsea e circa 20 per quella di Hamsik al Dalian Yifang), prestiti e anticipi su future cessioni, il bilancio al 30 giugno 2019 ha riportato un risultato positivo di 29 milioni (rispetto alla perdita di 6 di quello precedente).
Il fatturato strutturale
L’innalzamento della qualità della squadra, con conseguente incremento dei costi di gestione, saliti del 15% complessivamente a quota 252 milioni (41 milioni di spese operative extra rosa), non è stato compensato da un adeguato aumento delle voci di entrata su cui il club può ordinariamente fare affidamento. Lo stadio ha prodotto 15,8 milioni (-17% rispetto al 2018), a causa del blocco degli abbonamenti annuali per i lavori al San Paolo in vista delle Universiadi. I diritti tv della Serie A invece sono aumentati di oltre 7 milioni grazie alla nuova distribuzione dei proventi (da 73,1 a 80,8 milioni). L’area commerciale ha fatto segnare un leggero incremento, con le sponsorizzazioni cresciute da 30,6 a 36,7 milioni. In particolare gli sponsor ufficiali hanno versato 9 milioni e lo sponsor tecnico Kappa 9,2 milioni. L’accordo con quest’ultimo è stato appena rinnovato di due anni rispetto alla scadenza del 2020. Dalle voci merchandising e licensing il Napoli ha incamerato solo 4,2 milioni e 1,1 dai diritti di immagine. La partecipazione alle competizioni europee ha assicurato 56 milioni (40 in più della stagione precedente).
Il dislivello da colmare
Senza poter attingere alle risorse europee, che come dimostra la stagione in corso sono tornate ad essere per il Napoli tutt’altro che “ordinarie”, il fatturato strutturale scende addirittura sotto i 150 milioni. Il dislivello con i costi della produzione arrivati nel 2019, come detto, sopra i 250 milioni ha costretto la società a virare drasticamente verso una gestione sempre più orientata al player trading. Ma se in passato, la cessione di grandi calciatori (Lavezzi, Cavani, Higuain, eccetera) è servita a valorizzare i talenti “sgrezzati” dal club e a rilanciare il progetto sportivo ad alti livelli, oggi sembra perseguire soprattutto un diverso duplice obiettivo: evitare pesanti deficit di bilancio e tagliare in maniera duratura il costo della rosa (i compensi contrattuali ai calciatori sono stati pari a 101,6 milioni, più 13,5 milioni di bonus e premi) ripartendo da calciatori dagli ingaggi più abbordabili e “titolari” dello sconto fiscale del decreto Crescita. I mancati rinnovi di Mertens e Callejon si spiegano in questo modo. Accontentare le loro richieste avrebbe peraltro scatenato i manager degli altri tesserati in attesa di prolungamento. Additarli alla pubblica piazza come mercenari appare perciò un mix tra uno sfogo dal sen fuggito e una precisa mossa di scacchi.
Lo stato patrimoniale
La società dei De Laurentiis, che hanno percepito al 30 giugno 2019 circa 5 milioni di euro come remunerazione per le cariche ricoperte nel cda (composto da Aurelio, che è anche l’amministratore delegato, Edoardo che è vicepresidente, la figlia Valentina e la moglie Jacqueline altro vicepresidente, più Andrea Chiavelli), può contare peraltro su un patrimonio netto di 145 milioni, composto anche da 105 milioni di disponibilità liquide, un unicum non solo in Italia. Più che sufficiente per rispettare i parametri del fair play finanziario anche per quanto concerne l’indebitamento netto. Al 30 giugno 2019 il Napoli non ha debiti finanziari o bancari. Il totale del debiti è di 163 milioni, tra cui 133 per il calciomercato, 18 con fornitori e 10 con il Fisco. I crediti ammontano a 88 milioni, di cui 66 per il calciomercato.
Le prospettive
L’obiettivo perseguito dal presidente De Laurentiis appare patrimonialmente ineccepibile, anche se sportivamente rischioso. Specie in un contesto come quello italiano che sta tornando più competitivo e in cui per i quattro posti Champions in futuro ci sarà sempre più bagarre. Il rischio è che la restaurazione avviata a gennaio e che proseguirà in estate possa impoverire il tasso tecnico dell’organico e rendere sempre più complicata la rincorsa all’Europa che conta. Spese sul mercato non ne sono state lesinate. Per acquisti e prestiti dal luglio 2019 al gennaio 2020 sono stati investimenti oltre 150 milioni. Il club si è comunque coperto le spalle. Il calciomercato estivo 2019 ha infatti già garantito plusvalenze per 37,6 milioni, con cessioni a titolo temporaneo per 16,3 e obblighi di riscatto per 63,5 milioni. Eventuali cessioni di pezzi pregiati la prossima estate (da Koulibaly ad Allan) perciò possono portate in cassa almeno un centinaio di milioni, coprendo il fabbisogno e attutendo l’eventuale mancato accesso alla Champions. La scommessa da cui dipendono le sorti del Napoli appare perciò essere quella di ritrovare competitività sportiva (e la porta d’accesso alla Champions) riequilibrando i conti attraverso una strategia che punti su manovre dal rapido rendimento economico (player trading) anziché su iniziative di medio (centro sportivo) o lungo periodo (stadio di qualità) rimaste fin qui meri proclami della proprietà.