Mentre prosegue l’iter in sede penale, per il fallimento dell’Us Città di Palermo si è conclusa la vicenda nelle aule della giustizia sportiva. Si è conclusa, almeno, per Maurizio Zamparini, inibito per cinque anni dalla Corte federale d’appello, sanzione confermata dal Collegio di garanzia dello sport del Coni. L’imprenditore friulano aveva fatto ricorso contro la sentenza che aveva totalmente ribaltato il giudizio di primo grado, nel quale era stato rigettato il deferimento della Procura federale, che aveva richiesto un anno di inibizione da sommarsi ai quattro già comminati in precedenza per l’operazione di cessione del marchio alla holding lussemburghese Alyssa (riconducibile sempre a Zamparini). Un’operazione che ha generato una plusvalenza da 21,9 milioni, considerata fittizia dai pm, oltre che un credito da 40 milioni mai riscosso nella sua interezza dal club rosanero.
La Corte d’appello, lo scorso 22 settembre, ha inflitto a Zamparini il massimo della pena prevista per ciò che concerne le inibizioni. Questo perché, secondo la corte presieduta da Mario Luigi Torsello, “la grave crisi economico-finanziaria della società US Città di Palermo Spa, che ha poi portato al termine della stagione 2018/19 alla mancata iscrizione al campionato di Serie B, allo svincolo dei calciatori tesserati con gravissimo depauperamento patrimoniale che ha portato alla cessazione della attività sportiva, al concordato preventivo in bianco e, quindi, al fallimento ed alla revoca della affiliazione, affonda le sue radici nella gestione del sig. Maurizio Zamparini e degli altri amministratori che si sono succeduti sino al trasferimento della proprietà ai soci inglesi”. Inoltre, “sino al 20 dicembre 2018, appaiono dimostrate le responsabilità di cattiva gestione dei diversi amministratori”. Oltre al ricorso di Zamparini, sono stati respinti dal Collegio di garanzia dello sport quelli della figlia Silvana, della moglie Laura Giordani (inibite per sei mesi) e dell’ex dirigente Daniela De Angeli, poi nominata presidente (due anni e tre mesi di inibizione).
L’Us Città di Palermo è stata dichiarata fallita il 18 ottobre 2019, a meno di quattro mesi dalla mancata iscrizione in Serie B. In quell’occasione, la Covisoc contestò alla società: l’omesso deposito della fideiussione da 800 mila euro, il mancato pagamento degli stipendi ai tesserati (con contributi e ritenute annessi), il mancato pagamento di una penale da 400 mila euro dovuta all’ex tecnico De Zerbi, il mancato pagamento della multa da 500 mila euro per le irregolarità amministrative della precedente stagione, il mancato pagamento dei cosiddetti debiti sportivi e l’omesso ripianamento patrimoniale da 8,3 milioni, parzialmente effettuato con crediti da 5,8 milioni non documentati. Crediti provenienti per la maggior parte da una società, Group Itec, “inattiva dal 2008” e il cui ultimo bilancio (al 31 dicembre 2007) “non evidenziava alcun credito d’imposta”, come rilevato dall’amministratore giudiziario Giovanni La Croce.
Per l’operazione relativa al credito di Group Itec e per il fallimento del Palermo, sono stati arrestati a novembre i fratelli Walter e Salvatore Tuttolomondo, accusati di bancarotta fraudolenta. I due, tramite la società Arkus Network, avevano rilevato le quote del club nei primi di maggio del 2019. Sotto la loro gestione, si insediarono nel Cda il presidente Alessandro Albanese e il vicepresidente Vincenzo Macaione, i cui ricorsi al Collegio di garanzia dello sport del Coni sono stati accolti con formula piena. Sia Albanese che Macaione erano stati inibiti per un anno dalla Corte federale d’appello, ma sono stati entrambi riabilitati sul fronte sportivo. Accolti, inoltre, anche i ricorsi di Andrea Bettini (consigliere d’amministrazione durante la gestione Zamparini) e di Emanuele Facile (amministratore delegato sotto la proprietà “inglese” di Sport Capital Group), ma con rinvio alla Corte federale d’appello.