La cessione di Romelu Lukaku al Chelsea per 115/120 milioni sta destando comprensibilmente preoccupazione e rabbia nella tifoseria del team che ha appena vinto lo scudetto e che ha visto in poche settimane l’addio dell’allenatore Antonio Conte e la vendita di Hakimi, punto di forza della squadra.
La situazione economica/finanziaria del gruppo Suning e quella dell’Inter non sono certo idilliache. Il conglomerato di proprietà della famiglia Zhang è oggi piuttosto indebolito a causa delle ripercussioni della pandemia sulla rete di oltre 10mila esercizi commerciali fisici, già a bassa marginalità, pur a fronte di un fatturato che comunque oscilla tra i 50/60 miliardi dollari all’anno, di alcuni investimenti errati (come l’acquisto della rete Carrefour in Cina alla vigilia dello scoppio dell’emergenza sanitaria), e dell’”obbligo” di sostenere finanziariamente altri conglomerati cinesi in panne, specie nel settore immobiliare, come Evergrande. Questa debolezza ha costretto il gruppo di Nanchino, sotto l’egida del Governo di Pechino, a cedere quote minoritarie, ma rilevanti, che hanno spostato l’asse di controllo del conglomerato. Se la famiglia Zhang è uscita ridimensionata, altrettanto non si può dire per l’universo Suning che ha ora ha tra i propri azionisti realtà ancora più solide.
Lo scorso luglio infatti è stata formalizzata la cessione del 17% circa di Suning.com a un fondo (per un corrispettivo di 1,14 miliardi di euro) guidato dall’asset management committee statale di Nanchino e dal governo della provincia dello Jiangsu e partecipato da altri “campioni” dell’economia cinese, quali Alibaba, Haier, Xiaomi e TCL. “Il portafoglio di investitori diversificati aiuterà Suning.com a migliorare ulteriormente la governance aziendale, le operazioni e la trasformazione del business come fornitore di servizi al dettaglio”. Questo quanto spiegava la nota di Suning che ha ufficializzato il passaggio delle quote.
Dunque, se è vero che l’operazione non riguarda direttamente la catena di controllo dell’Inter è altrettanto chiaro che gli argini posti dal Governo di Pechino intorno a Suning.com sono tali da impedire un’esondazione della crisi che si propaghi oltre la famiglia Zhang alle controllate di Suning Holding. A protezione di Suning (dopo che la famiglia Zhang è stato costretta a fare un passo indietro) sono state schierate quindi corazzate dell’economia cinese. Un cordone di protezione che dà ampie garanzie di continuità, a meno di altri rovesci epocali difficili oggi difficili da prevedere.
Lo stesso è stato fatto per il club nerazzurro con l’operazione del maggio scorso che ha portato il fondo americano Oaktree a finanziare indirettamente (il prestito viene erogato alla controllante lussemburghese del club appartenente alla galassia Suning) 275 milioni. Questi soldi insieme al rifinanziamento del bond da 375/400 milioni in scadenza nel 2022 che sarà ultimato entro fine anno, daranno al club l’ossigeno finanziario per affrontare la stagione. Qualora Suning non dovesse rimborsare il prestito entro il prossimo triennio, Oaktree che ha in pegno le azioni del club nerazzurro, ne acquisirà la proprietà.
E non sarebbe come cadere dalla padella alla brace. Oaktree, è un fondo specializzato in “titoli in difficoltà” e gestisce asset per 150 miliardi di dollari. A sua volta la maggioranza di Oaktree è detenuta da un altro mega fondo canadese, Brookfield. Insieme le due realtà amministrano asset per oltre 600 miliardi di dollari.
Chiarito questo scenario bisogna concentrarsi sul piano strategico dell’Inter.
L’Inter ha dovuto interrompere bruscamente il suo processo di crescita con un fatturato strutturale che si apprestava, senza plusvalenze, a superare i 350 milioni annui, a causa della crisi sanitaria e del blocco degli investimenti di Suning (pari a oltre 600 milioni in 4 anni erogati all’Inter sotto varie forme).
La proprietà cinese perciò ha imposto un ridimensionamento del 10/20% del monte ingaggi e una campagna acquisti per la stagione 2021/22 da chiudersi con un saldo positivo di 80/90 milioni. Questo assecondando quanto prescrive il fair play finanziario Uefa, vale a dire che i club devono essere autonomi nel gestire il conto economico annuale (anche se in certe realtà europee, evidentemente, questo principio vale un po’ meno).
Il calciomercato estivo 2021 è stato gestito da Beppe Marotta e Piero Ausilio con questo diktat. Il passaggio di Hakimi al Psg e altre piccole operazioni hanno permesso di mettere insieme fin qui un risparmio di circa 40 milioni. Per raggiungere il budget peraltro c’è la finestra di gennaio e quella estiva del 2020 (a patto di effettuare le operazioni in uscita entro il 30 giugno, in modo da poterne iscrivere i benefici a bilancio).
Sia Marotta che Ausilio perciò erano convinti di poter conseguire l’obiettivo senza cedere altri big, magari effettuando qualche colpo in entrata in meno. Nessuna volontà di cedere Lukaku o Lautaro, per intendersi.
Alcuni giorni fa tuttavia si è materializzata l’offerta del Chelsea per il centravanti belga per 100 milioni più Marcos Alonso.
L’Inter che non aveva alcuna intenzione di privarsi di Lukaku, a conti fatti, l’ha rispedita al mittente. Il centravanti belga tuttavia ha fatto pesare la sua volontà di cogliere l’opportunità professionale di un ritorno in Premier con uno stipendio praticamente raddoppiato. L’Inter si è trovata così nelle condizioni di dover trattare. Ciò che va però rimarcato è che la cessione dell’attaccante non dipende, sia pure in un contesto difficile di revisione del piano strategico, da urgenze finanziarie né del club, né della proprietà.
In altre parole, anche una proprietà solidissima, avrebbe avuto il dovere di ascoltare una proposta così elevata, che configura la più ricca operazione del calciomercato mondiale (escludendo il passaggio di Neymar al Psg), a maggior ragione di fronte alla volontà del calciatore di cambiare aria.
L’Inter così si è seduta al tavolo scartando proposte di scambi relativi a calciatori e chiedendo solo cash. Il Chelsea alla fine ha messo sul piatto un’offerta di 115/120 milioni con alcuni bonus.
Una somma considerevole che consentirebbe al club di iscrivere a bilancio una plusvalenza lorda di oltre 80 milioni, avendo ammortizzato già per due stagioni il cartellino del belga pagato 65 milioni. Oltre a risparmiare 15 milioni di ingaggio lordo e circa 15 di ammortamento del cartellino sulla stagione appena cominciata. Dal punto di vista dell’incasso netto, invece, il club deve far fronte al pagamento di una percentuale sulla rivendita allo United (6%) e un bonus formazione (5%), oltre agli oneri per gli intermediari. In totale, bisogna sottrare una ventina di milioni.
Questo quindi è il quadro dell’operazione. In assoluto assolutamente comprensibile per l’impatto economico positivo sui conti e in relazione al fatto che si tratta di un calciatore di 28 anni che sarebbe rimasto contro la sua volontà.
La proprietà peraltro ritiene indispensabile porre un baluardo preventivo rispetto alla possibilità che anche la prossima stagione sia colpita dal Covid (l’Inter perderebbe ancora un’ottantina di milioni con gli impianti chiusi) e che maturi lo scenario peggiore per cui il club tra le due stagioni precedenti e quella in corso si ritrovi a fare i conti con perdite per 400 milioni. L’obiettivo per rendere il bilancio dell’Inter più sostenibile è di riportare il monte ingaggi (al lordo delle imposte) dagli oltre 200 milioni attuali ai 150/160 dell’era anteriore ad Antonio Conte.
La dirigenza condivide questo target, ma ritiene di poterlo (sia pure faticosamente) raggiungere senza smantellare la squadra. Ciò che rende la dirigenza titubante riguarda perciò il contesto e i tempi dell’operazione Lukaku. La scadenza del calciomercato, la necessità di comprare un altro centravanti (affare a cui sarà destinato non più del 50% del ricavato della vendita di Lukaku) e soprattutto la scommessa sulla possibilità che il nuovo attaccante si integri subito assicurando una standard di prestazioni all’altezza, rappresentano incognite che per i manager nerazzurri dovrebbero indurrebbe a restituire al mittente anche la seconda offerta del Chelsea. Se la stagione dovesse ingarbugliarsi con una mancata qualificazione Champions il tutto potrebbe rivelarsi addirittura controproducente. Nell’industria calcistica per guadagnare di più bisogna vincere, e al contrario, se non appropriati, i risparmi possono causare ancora più perdite.
Alla fine deciderà la società cosa fare di fronte alla presa di posizione del giocatore.
Non si possono accampare tuttavia troppi alibi su urgenze finanziarie, è bene ribadirlo, sia pure in un contesto economico assolutamente difficile ma in cui il peggio sembra essere alle spalle (e per cui come detto sopra sono stati messi in campo diversi cuscinetti di protezione sia per Suning che per l’Inter). Quella di vendere Lukaku non è altro che una decisione volta ad accelerare un percorso di riassestamento dei conti, comunque percorribile per altre vie. Prendere tutto subito senza correre altri rischi. Un ragionamento che ha un suo fondamento. Ma alla fine gli elementi per cui la decisione di vendere Lukaku potrebbe rivelarsi miope, soprattutto in relazione ai tempi, appaiono preponderanti rispetto ai fattori che la rendono contabilmente conveniente