La Superlega “non è un fallimento”. Non per Andrea Agnelli, uno dei fondatori del progetto che quasi un anno fa proponeva la nascita di una nuova competizione gestita dai principali club europei e che alla fine ha visto la Juventus rimanere sola, con Real Madrid e Barcellona, a condurre una battaglia legale contro la Uefa: “Questo è un lavoro collettivo di 12 club – ha dichiarato Agnelli al Business Of Football Summit organizzato dal Financial Times – c’erano 12 persone che hanno firmato un contratto di 120 pagine, vincolante per 11 su 12 di questi club. Questo progetto porta con sé un’eredità: l’insostenibilità dell’industria è sempre lì, e la rimarchiamo, in più c’è un procedimento pendente alla Corte di Giustizia Europea, che definirà se l’industria in cui viviamo è aperta e trasparente o se il nostro attuale regolatore, che è al 100% un operatore di mercato monopolistico e l’unico gatekeeper ad autorizzare ogni competizione in Europa, è la forma corretta di industria che vogliamo. Ho molta fiducia nei giudici, che sono i veri depositari dell’identità europea e dei valori europei”.
Nel corso del suo intervento, Agnelli ha voluto ripercorre le tappe che hanno portato alla rottura con la Uefa e col suo presidente Ceferin: “Un mese prima che accadesse tutto ciò, c’è stato il Congresso Uefa a Montreux. Sono stato oggetto di controllo sull’eleggibilità come membro del comitato esecutivo. Ho dichiarato espressamente alla Uefa che, nelle mie facoltà di presidente della Juventus, una società quotata in Borsa, stavo studiando progetti alternativi al sistema esistente sia a livello domestico che internazionale. L’ho dichiarato espressamente alla Uefa e ho ricevuto dalla Uefa un pezzo di carta in cui viene dichiarata la mia eleggibilità per la posizione nel comitato esecutivo. Questi sono i fatti. Nel processo di discussione con i club su questa potenziale competizione alternativa, ho dovuto firmare un accordo di riservatezza, com’è pratica comune in molti affari. La Uefa era pienamente consapevole del fatto che stavo studiando alternative”.
Il punto alla base del progetto Superlega resta lo stesso di un anno fa: “Viviamo in un’industria da approssimativamente 75 miliardi di ricavi diretti, che genera circa 25 miliardi di tasse, che dà lavoro a circa un milione di persone ed è un catalizzatore dell’identità europea. Se guardiamo a cosa è successo ai club tra i 2010 e il 2019, c’è stata una crescita che ha portato il fatturato vicino ai 23-24 miliardi. Allo stesso tempo, gli stessi club con questa crescita, hanno accumulato perdite per 4,5 miliardi. Poi è arrivato il Covid”. Per Agnelli, stavolta, non c’è spazio per un compromesso: “Ogni qual volta emergeva la minaccia della Superlega veniva usata per un compromesso. La stessa cosa è successa nel 2016, con l’accesso diretto in Champions League di quattro squadre delle primi quattro associazioni e con l’introduzione del performance market pool. A mio avviso, il compromesso non è più una scelta. Abbiamo bisogno di riforme profonde anche per governance e proprietari. La prima domanda da porci è: il nostro attuale regolatore, operatore monopolistico e gatekeeper, è adatto a guidare un’industria dal valore di 75 miliardi, che impiega un milione di persone e versa tasse per 25 miliardi? Penso di no, perché penso che questi tre ruoli siano incompatibili tra loro. Vogliamo restare nel sistema domestico e qualificarci alle competizioni, vogliamo avere la libertà di organizzare una nuova competizione con una diversa governance e proprietà. Sosterrò una governance aperta e trasparente, aspetterò la sentenza della Corte di Giustizia Europea che dirà se l’attuale governance è adatta, in base ai trattati europei”.
Infine, un passaggio sulla Juventus e sull’indagine relativa alle plusvalenze del club bianconero: “La nostra posizione in merito è che non è stato commesso alcun illecito, i nostri bilanci sono certificati e sono fiducioso. Penso che abbiamo attraversato una fase di espansione, se si guardano i risultati tra il 2010 e il 2019 la società era parecchio in salute. Penso che gran parte dell’industria abbia elogiato il management della Juventus. Abbiamo fatto un aumento di capitale di 300 milioni per provare a competere e per rimanere competitivi in campo internazionale e questo sulle spalle di oltre mezzo miliardo di investimenti tra il 2018 e il 2019. Abbiamo completato l’aumento di capitale nel gennaio 2020 e la pandemia è arrivata a febbraio, questo ha fermato completamente tutte le operazioni. Abbiamo avuto oltre 300 milioni di perdite dirette e indirette per la pandemia, abbiamo fatto un altro aumento di capitale e fortunatamente le spalle dei nostri azionisti sono abbastanza grandi, il che lo ha reso possibile”.