Buon per Tonali, Benzema e Ronaldo, ma davvero vogliamo svendere così il calcio, lo sport che amiamo e che costituisce una parte essenziale della nostra identità, dell’identità europea e nazionale?
Ho denunciato la deriva che abbiamo sotto gli occhi in tempi non sospetti, e pur apprezzando le virtù del mercato e leggi dell’economia – come ho scritto nella prefazione de Le nuove guerre del calcio, uscito nell’ottobre del 2022 – c’è un confine, che è quello del modello di società democratico e pluralista in cui viviamo e di cui il calcio è e deve restare espressione, che va strenuamente difeso.
Chiamiamolo calcio popolare, calcio antico, quello che preferite. Senza nostalgie e revanscismi che non mi appartengono, io credo che nel campo dello sport e del football in particolare si stia combattendo una battaglia subdola, che mette in gioco (e in pericolo) ben più dell’ingaggio di un campione o della proprietà di una squadra.
L’Arabia Saudita, sempre più vicina a visioni autocratiche come quella della Russia e della Cina (e ai loro interessi economici e geopolitici) si sta accaparrando lo sport globale: hanno tentato con la Formula 1, si sono presi il golf, ora assaltano il calcio sotto varie forme.
Hanno infinite risorse messe a disposizione del Newcastle e dei 4 club di Riad e Gedda appena entrati nell’orbita di Pif (oltre 400 miliardi di patrimonio). Hanno acquisito i diritti della Supercoppa spagnola e italiana imponendo un nuovo format. L’anno prossimo ospiteranno il mondiale per club vecchia maniera e si preparano al nuovo mondiale per club a 32 che dal 2025 la Fifa ha preparato. Anche se rinunceranno alla candidatura della Coppa del mondo per nazionali nel 2030 (avrebbero solo 6 anni per costruire nuovi stadi, mentre il Qatar ne ha avuti 12), ci proveranno nel 2034, è solo questione di tempo. I rumors parlano del piano di una Superlega araba e poi chissà che altro.
Questo processo forse non è ineluttabile, ma gli arabi possono riuscire laddove i russi e i cinesi hanno fallito: instaurare un’egemonia economica sullo sport più amato al mondo. E attraverso le vittorie dirette e indirette non solo ripulire la loro immagine e legittimare il potere del principe Mohammad bin Salman, ma edificare un nuovo modello di società basato sull’autocrazia e su libertà limitate concesse per volontà del sovrano.
So che appaiono prospettive quasi da filmografia distopica, ma ignorare questi dati sarebbe un atto di colpevole ignoranza. O di condiscendenza o in estrema ratio di complicità. Scegliete voi.
Ma è questo purtroppo l’atteggiamento delle istituzioni calcistiche. Che fingono di voler proteggere il calcio del popolo, il calcio dei tifosi, mentre intraprendono guerre sante contro nuovi format e richieste di libertà commerciale dei club. E inoltre per tenere i cordoni della borsa sempre più stretti, e consolidare il loro status, si sono alleate proprio con coloro da cui dovrebbero guardarsi. La Fifa di Infantino sponsorizza la crescita dell’Arabia saudita, la Uefa di Ceferin ha in AL Kelaifi e nel Qatar un sostegno formidabile.
Se l’unica forma di resistenza l’hanno messa in campo gli Stati Uniti – con la Major League soccer che si è assicurata Lionel Messi e con gli oltre 60 club europei acquistati da fondi o imprenditori americani anche in vista del mondiale del 2026 – c’è molto da riflettere.
Come in politica e in economica, anche nel calcio e nello sport, l’Europa è sempre più stritolata fra lotte di potere che non capisce o finge di non vedere. E mentre ci si impelaga nel contrastare fantomatiche Superleghe (vedremo quando avrà tempo di esprimersi sul tema la Corte di Giustizia Ue) bloccando la crescita del calcio continentale – anzichè battersi per aumentare i ricavi e distribuire in modo più equo e democratico i surplus – le Superpotenze globali conquistano centimetro dopo centimetro il nostro territorio e i nostri valori.