La Serie A tra fair play finanziario e rischio di blocchi al mercato di gennaio

In un’industria calcistica con ricavi sempre più polarizzati, il perseguimento della sostenibilità economico-finanziaria è diventato un esercizio complicato. La Serie A, che sta uscendo non senza fatiche dalla feroce crisi post Covid che ne ha aggravato i cronici squilibri, ha da poco deciso di adeguarsi al Financial fair play della Uefa, in modo da dare ai club che abitualmente frequentano le coppe un unico quadro contabile a cui attenersi. Una scelta lungimirante che promette di consolidare il risanamento in corso, spingendo a comportamenti più virtuosi, ma che in sede di prima applicazione, scattando una fotografia parziale e congiunturale dello stato di salute delle società, può produrre conseguenze in certi casi paradossali. Di fatto, almeno un terzo dei team di Serie A a gennaio 2026 potrebbe subire un blocco soft del mercato, vale a dire che si potrà spendere per colmare le carenze di organico solo se prima si saranno fatte operazioni in uscita con un saldo finale positivo sui conti.
A meno che i proprietari non mettano mano al portafoglio per pareggiare il fabbisogno evidenziato dalla nuova“squad cost rule”, introdotta al posto del cosiddetto indicatore di liquidità, usato fino all’estate scorsa. La squad cost rule consente, infatti, di usare per gli stipendi dei giocatori e dell’allenatore, per gli ammortamenti dei cartellini e i costi degli intermediari al massimo il 70% dei ricavi, ovvero tutto ciò che deriva dai diritti tv, dallo stadio, dall’area commerciale e dal player trading (in questo caso, si fa riferimento però alla media triennale delle plusvalenze realizzate). La Uefa considera per il 2025 l’anno solare.
In vista del debutto di questa disciplina nel contesto nazionale si è deciso di fare riferimento invece al periodo 1° ottobre 2024-30 settembre 2025 e di adoperare la soglia dell’80 per cento. La documentazione è stata depositata dai club lo scorso 30 novembre e nelle prossime settimane i tecnici della Commissione per il controllo dei conti delle società professionistiche di calcio e basket (istituita con il decreto legge 71/2024) da poco subentrata nelle funzioni di vigilanza fin qui svolte da Covisoc e Comtec, sotto la presidenza di Massimiliano Atelli, dovrà vagliarla e stabilire, se presenti, i livelli di sforamento. L’unico correttivo per poter agire liberamente sul mercato a gennaio è l’apporto di capitale. Nelle verifiche che avranno come scadenza il 30 marzo 2026, in vista della sessione estiva, il rapporto spese/ricavi scenderà al 70% e si potrà anche procedere a cessioni pro soluto dei crediti da calciomercato per compensare gli ammanchi.
Ad ogni modo, da una prima ricognizione dei dossier dovrebbero essere sette/otto i club sopra l’80%, mentre tutti gli altri sarebbero sopra il 70% e dunque dovranno lavorare nei prossimi mesi per adeguarsi.
Tra i club coinvolti nel blocco ce ne sono alcuni che, bilanci alla mano, non godono affatto di cattiva salute. Il Napoli, ad esempio, si è ritrovato sopra l’80% a causa del mancato accesso alle coppe europee nella scorsa stagione e della scelta di contabilizzare gli ammortamenti in quote decrescenti e non paritarie come fanno le altre società. Il fatto di avere un patrimonio netto positivo di oltre 200 milioni purtroppo non è premiato dalle attuali regole. Così come il fatto di aver maturato più di 120 milioni di utili nell’ultimo triennio. L’altro pilastro del Ffp Uefa che ammette perdite non superiori a 60 milioni in tre anni (al netto dei costi per strutture, settore femminile e vivai) sarà preso in esame in Italia solo a partire dalle due stagioni 2026/27 e 2027/28.

Articolo pubblicato sul Sole 24 ore del 7 dicembre 2025