Lo spionaggio subito non può essere considerato una causa che ha impedito a Bobo Vieri di partecipare ai Mondiali del 2006. Lo scrive il giudice di Milano, Damiano Spera, nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato l'Inter e Telecom a risarcire in solido l'ex bomber con un milione di euro, non riconoscendo però all'ex attaccante nerazzuro un danno patrimoniale legato alla fine della sua carriera. "Allo stato – si legge nelle motivazioni – non risultano danni patrimoniali accertati. Non può, infatti, ritenersi provato che i fatti per cui è causa abbiano determinato per l'attore minori possibilità di guadagno". Vieri, spiega il giudice, "ha concluso un contratto di ingaggio con la società Atalanta ed ha giocato per la predetta squadra anche in epoca successiva alla diffusione della conoscenza dei fatti per cui è causa a mezzo dei mass media; successivamente, lo stesso ha anche giocato con la società calcistica Fiorentina".
A ciò bisogna aggiungere "che proprio l'età del giocatore (33 anni), oltre che il notorio infortunio dallo stesso subito proprio nel 2006, costituiscono eventi che secondo la normalità dei casi nel settore calcistico influenzano negativamente ed in modo determinante le aspettative di carriera di giocatori di calcio professionisti, specie se ingaggiati nel ruolo specifico rivestito dall'attore(attaccante)". Non risulta quindi "affatto provato il nesso di causalità tra gli illeciti oggetto del presente giudizio e la mancata partecipazione dell'attore ai Campionati del Mondo di calcio". E non risultano "provati i danni lamentati dall'attore per la perdita di ingaggi da parte di prestigiose società calcistiche e per la asserita 'carriera stroncatà". Vieri, prosegue il giudice, "all'epoca dei fatti ma soprattutto all'epoca del grave infortunio che gli ha impedito di svolgere la propria
professione per quasi un anno e di partecipare ai Mondiali, aveva 33 anni; tale circostanza ha sicuramente inciso sulle prospettive di ripresa e di carriera dell'attore negli anni successivi alle vicende per cui è causa".
"Le prove testimoniali hanno però comprovato che l'apprendimento della notizia di aver subito una rilevante violazione della propria vita privata ha comportato per l'attore una indubbia sofferenza", scrive però il giudice civile di Milano. "Tale circostanza – prosegue il giudice – appare del resto verosimile in quanto può ritenersi massima di comune esperienza che un'indebita intromissione nella propria sfera privata da parte di soggetti estranei, tanto più quando viene effettuata in modo subdolo e con modalità illecite, ingenera nella vittima uno stato di sofferenza".
Decisivo per attribuire il risarcimento di un milione di euro a favore di Vieri é stato inoltre l'esito della consulenza tecnica d'ufficio che "ha confermato uno stato di disagio, malessere, ansia e sofferenza psico-fisica che – sebbene inidoneo a comprovare la lesione (temporanea e permanente) del diritto alla salute – integra il danno non patrimoniale in esame". Non si ravvisa, invece,
secondo il giudice sulla base delle consulenze, e contrariamente a quanto chiesto dalla difesa di Vieri, un "danno non patrimoniale da lesione del bene salute" dal momento che "non risulta provata l'insorgenza di una malattia psico-fisica in capo all'attore a seguito dei fatti di cui é causa e
pertanto nessuna somma può essere liquidata a titolo di danno biologico (permanente e temporaneo)".