Dopo aver esaminato i bilanci 2012 e 2013, gli organi di controllo della Uefa hanno messo sotto esame i conti di circa 60 club che presenterebbero sponsorizzazioni gonfiate o fuori mercato. Nel mirino ci sono anzitutto quei contratti stipulati con “parti correlate”, vale a dire aziende dello stesso gruppo o riconducibili al medesimo proprietario.
I club sotto esame. Sul banco degli imputati, ci sono, come del resto ampiamente prevedibile, Psg, Manchester City e Zenit San Pietroburgo (di proprietà di Gazprom). Ma nella “lista nera” sono finiti anche molti club russi e turchi che intrattengono rapporti economici molto “stretti” con sponsor sia pur distinti dalla proprietà. Nessun club italiano invece è stato selezionato dalla Uefa tra quelli che nelle prossime settimane saranno chiamati a giustificare o quantificare importi accettabili per le sponsorizzazioni sospette. L’onere della prova, in effetti, è a carico dei club che potranno nominare periti di parte per confutare i dubbi della Uefa se non vorranno incappare nelle sanzioni che saranno irrogate tra maggio e giugno, dopo la finale di Champions league.
Lo “stress-test”. Nel corso delle ultime riunioni degli organismi di controllo contabile sarebbero stati definiti, inoltre, una serie di criteri in base ai quali dovrà essere realizzato sui contratti di sponsorizzazione sospetti una sorta di stress-test, per appurare se i soldi incassati dai club sono in qualche modo giustificabili nell’ottica del fair play finanziario. In primo luogo, si dovrà verificare quale sarebbe stato il costo sostenuto dall’azienda-sponsor per ottenere la stessa visibilità qualora avesse optato, per veicolare il proprio brand, sui media tradizionali (pubblicità in tv, sui new media, giornali, eccetera). In secondo luogo, la Uefa ha deciso di affidare a due società (che saranno scelte a breve) leader nel settore un’indagine indipendente per stabilire l’effettivo valore di mercato delle sponsorizzazioni sospette, distinguendo per ambito merceologico e paese. In terzo luogo, si dovrà ricorrere – questo almeno sembra essere l’orientamento prevalente – alle formule matematiche comunemente accettate dalle società di marketing e nel mondo accademico per fissare le valutazioni dei cosiddetti “intangibles”: quanto vale davvero il marchio di un club?; qual è il livello di attaccamento dei tifosi a un brand?; qual è la capacità di un determianto club di divulgare il marchio del proprio sponsor? In altri termini, e tanto per andare sul concreto, qual è il valore del brand Qatar e quale la “forza” del Psg di valorizzare questo brand a livello planetario in vista dei mondiali di calcio del 2022?
Insomma, un lavoro certosino anche se sembrano già intravedersi i margini di infinite battaglie legali tra club sanzionati e istituzioni calcistiche europee che occuperanno le cronache dei prossimi mesi.
La battaglia in seno alla Uefa. C’è da dire che negli uffici di Nyon, sede della Uefa, si contrappongono due anime, due correnti di pensiero le potremmo definire. Da un lato, c’è l’anima rigorista, tedesco-bavarese, che fa capo al Bayern Monaco e al presidente dell’Eca Rumenigge, che vorrebbe un’applicazione rigorosa delle regole del fair play finanziario per mandare un messaggio inequivocabile a chi in queste stagioni ha dimostrato di non averle esattamente a cuore. A questa corrente di pensiero appartiene la nobiltà del calcio europeo, dal Real Madrid al Barcellona, dal Manchester United all’Arsenal. Dall’altro lato, c’è invece l’anima più flessibile, costituita non solo dai club che hanno agito senza tener conto dei criteri dal Ffp (City, Chelsea, Psg, Monaco, squadre russe e ucraine), che in considerazione del fatto che si tratta della prima applicazione della nuova disciplina preferirebbero un approccio prudenziale con sanzioni soft e . Alla fine a far pendere la bilancia da una parte o dall’altra potrebbero essere quelle società che pur avendo i conti in ordine hanno subito più din altri in questi anni la recessione economica e sono riusciti a mantenere un livello sportivo accettabile solo grazie ai soldi di oligarchi e sceicchi che hanno acquistato decine di calciatori quasi senza badare al prezzo. Potrebbe insomma prevalere un sentimento pragmatico di accettazione di alcune forzature in virtù della “realpolitik” economica e in attesa di ridiscutere la questione in tempi più floridi per tutti.