Dal Maracanazo al Mineirazo. Lo shock per il fallimento del Brasile ai Mondiali non è stato meno profondo. Ma se le lacrime dei 200mila tifosi del Maracanà, dopo la sconfitta con l’Uruguay, il 16 luglio del ’50, si cristallizzarono tragicamente in 34 suicidi e 56 morti per infarto, la rabbia dei 60mila spettatori che martedì sera hanno assistito alla disfatta per 7 a 1 contro la Germania e quella di milioni di appassionati incollati alle tv, si è rovesciata nelle vie di Belo Horizonte e altre città prorompendo in saccheggi, rapine e nell’incendio di autobus.
Incidenti che, ci si augura, non siano il prologo di più ampie proteste, come quelle che sferzarono il paese l’anno scorso alla Confederations Cup, colpendo un’economia che dopo la favolosa era dei Bric oggi sconta tassi di crescita da zero virgola.
La delusione e la vergogna per la cocente eliminazione da parte della Germania dell’austera Cancelliera Angela Merkel (che domenica volerà a Rio per la finale) potrebbero infatti acuire un senso crescente di frustrazione dovuto alla mancata redistrubizione della ricchezza prodotta in questi anni e convogliato dai movimenti di protesta sulle faraoniche (e spesso irrealizzate) opere pubbliche legate al Mondiale. Le foto del crollo di un viadotto a Belo Horizonte, costruito proprio in vista della manifestazione calcistica, appena qualche giorno fa (con due morti e decine di feriti), rimbalzano sui social network come un nefasto presagio della sconfitta subita dai tedeschi, oltre che come un simbolo di speculazioni, sprechi e ruberie. L’organizzazione dei grandi eventi sportivi (Mondiale e Olimpiadi) è già costata oltre 12 miliardi di euro in un Paese che conta oltre sette milioni di persone costrette a vivere con poco più di un dollaro al giorno.
Del resto, sono i dati forniti dallo stesso Governo a gettare nello sconforto i brasiliani. Solo il 30% delle grandi opere promesse in occasione dei Mondiali sono state concluse, come ha confermato il ministero della Pianificazione di Brasilia. In particolare, delle 70 opere infrastrutturali pianificate, tra mobilità urbana, porti e aeroporti, solo 24 sono state ultimate. Ovvero poco più di un miliardo di euro spesi rispetto a un totale di 4,7 miliardi di euro stanziati. E già preoccupa il destino di alcuni dei 12 stadi tirati su dal niente per la «Copa» e che potrebbero trasformarsi in cattedrali nel deserto, da Cuiaba a Manaus.
Ai brasiliani, poi, non migliorerà l’umore – e una propensione al consumo già depressa – sapere che i Mondiali organizzati e, per molti aspetti, gestiti in una sorta di regime di monopolio, dalla Fifa di Joseph Blatter hanno spinto l’inflazione al 6,52%, sopra il tetto massimo stabilito dal governo (6,5%), con un’impennata a giugno dello +0,4 per cento, soprattutto per l’incremento delle tariffe di biglietti aerei (in media 22% più cari) e degli alberghi (+25% in media). La Banca centrale ha già elevato i tassi d’interesse per nove volte consecutive portandoli all’11% per contere questa espansione.
Tutte brutte notizie per Dilma Rousseff, la cui popolarità è ormai abbondantemente sotto il 40%, alle prese con le prossime elezioni politiche del 5 ottobre. Alla presidente in carica dal 2011 vengono già imputati dall’opinione pubblica il rallentamento del tasso di crescita e l’inadeguatezza delle scelte di politica economica che non hanno avuto alcun impatto tangibile sull’occupazione.
Il volano che i Mondiali avrebbero dovuto assicurare, d’altro canto, con la clamorosa uscita di scena dei Verdeoro (che per inciso perdono anche il premio record per i Campioni del Mondo da 27 milioni di euro) sarà ora ancora meno efficace. Già alla vigilia del torneo gli analisti finanziari non spargevano ottimismo. Per Ubs l’impatto dei Mondiali in Brasile potrebbe essere persino più ridotto di quanto solitamente avviene, considerando l’estensione geografica del paese, il fatto che gli investimenti saranno limitati ad alcune città e Stati e che solo una piccola quota di investimenti diretti è finalizzata a garantire infrastrutture adeguate. Secondo uno studio Euler Hermes (Allianz), inoltre, i Mondiali porteranno una crescita aggiuntiva del Pil di appena lo +0,2% quest’anno e nei due anni successivi dello 0,1, con un limitato sviluppo dei livelli di occupazione nel lungo periodo, un’inflazione in salita tra il 2009 e il 2016 del 2,5% e un’inversione del trend attesa dal 2020. Adesso anche una parte di questo potenziale surplus di circa 4/5 miliardi di euro potrebbe prosciugarsi.
Se nel periodo 2009-2014, per le infrastrutture sono stati spesi circa 8,6 miliardi di euro (pari allo 0,5% del Pil) nel periodo 2010-2016 in occasione di Giochi Olimpici saranno impegnati altri 4 miliardi di euro (0,2% del Pil). L’ultima speranza per i mercati e per il Brasile, perciò, resta Rio 2016. A patto che il Paese si faccia trovare pronto almeno per l’appuntamento con le Olimpiadi.
(Dal Sole 24 Ore del 10 luglio 2014)