La parola d’ordine per sviluppare il nuovo modello economico e di governance della As Roma è «disintermediare». Seguendo questo tracciato, la società giallorossa sta compiendo la sua transizione da club calcistico a «media company» per ritagliarsi un ruolo da protagonista nello Sport-Entertainment internazionale. «Essere la seconda squadra di tutti», è il mantra ripetuto dalla dirigenza romanista, dal quartier generale di Boston del presidente James Pallotta, passando per la sede londinese, ai nuovi uffici capitolini dell’Eur. Ed è stato questo il filo rosso del workshop Together As Roma tenuto a Doha la scorsa settimana.
Per riuscire a compiere questo salto epocale serve vincere giocando un calcio “propositivo” (anche in stagioni difficili come quella attuale, con la discussa eliminazione contro il Porto in Champions, dopo la storica semifinale raggiunta nella scorsa edizione) e contemporaneamente far evolvere il proprio brand. Fin qui la gestione americana avviata nel 2011 ha dovuto fronteggiare alti e bassi a livello sportivo, un bilancio da rimettere in sesto sotto la pressione della Uefa e delfair play finanziario e una piazza tra le più esigenti d’Europa. Trovare un equilibrio tra campo e azienda, nel solco del modello dello sport Usa, si è rivelato tutt’altro che semplice.
Il punto di convergenza sarebbe ovviamente il nuovo stadio. Le vicissitudini giudiziarie, dopo le traversie politiche del Campidoglio, hanno rallentato l’iter amministrativo oltremisura. Mancano l’approvazione della variante urbanistica da parte del Comune, la convenzione e i permessi per costruire. La società è sicura delle proprie ragioni e convinta di poter aprire il cantiere tra pochi mesi. Un investimento immobiliare da oltre un miliardo che può fare da volano al Pil della Capitale riqualificando un’ampia area urbana.
In attesa dei benefici del nuovo impianto è sul settore commerciale che il club giallorosso sta facendo leva per accrescere i ricavi. Da qui anche l’ingaggio di un manager di caratura internazionale, come Francesco Calvo, Chief revenue officer dallo scorso settembre, dopo aver ricoperto analoghi incarichi in Juventus e Barcellona. «Lo stadio – spiega – è un asset essenziale per plasmare brand, senso di appartenenza e una community. Ma la Roma è già una piattaforma ideale per le partnership internazionali. La scelta di questo posizionamento è stata coraggiosa da parte della proprietà. Per anni la Roma l’ha pagata rinunciando a uno sponsor di maglia. Adesso sulla divisa giallorossa compaiono Qatar Airways e Hyundai e per il training kit c’è Betway. Con Nike la maglia della Roma vale più di 20 milioni a stagione. Certo Nike ha avuto la fortuna di siglare l’accordo in un momento difficile per la Roma e versa ogni anno soltanto 5 milioni. I risultati potrebbero aiutarci a rivedere qualcosa. A ogni modo, se lo Schalke 04 incassa dal settore commerciale 90 milioni, il triplo della Roma, significa che c’è molto da recuperare».
Intanto, nell’ambito della strategia di crescita a medio-lungo termine, la As Roma ha deciso da ottobre 2018 di gestire direttamente retail emerchandising. «Abbiamo 16 negozi, alcuni di proprietà altri in franchising – sottolinea ancora Calvo -. Avere un maggiore controllo sull’area licensing potrà aiutarci molto. Essere a contatto con i nostri tifosi, negli store fisici e digitali, ci permetterà di conoscere meglio le loro esigenze e “profilare” la nostra fan base. La Juve dopo aver fatto questa mossa ha triplicato le entrate da questa voce. Il Barcellona da negozi e licensing ottiene circa 70 milioni. Siamo convinti che se ne gioverà anche il nostro bilancio». Per ora l’As Roma registra 35 milioni di ricavi dalle sponsorship, altrettanti dallo stadio e 15 dal comparto retail/licensing.
La Roma, insomma, sta perseguendo strade alternative per ristrutturarsi. Strade che intersecano le diramazioni di un centro media all’avanguardia, capace di coniugare tutti i linguaggi digitali, oltre i classici mezzi tv o radiofonici, raggiungendo 17 milioni di followers in 14 lingue, incluso il farsi e il pidgin nigeriano. «Dopo una nostra iniziativa social che aveva a oggetto la maglia della Nigeria durante i mondiali russi – aggiunge Calvo – ci siamo infatti accorti che eravamo diventati molto popolari lì. Così abbiamo deciso di dialogare meglio con quel Paese e i suoi 200 milioni di abitanti e appassionati di calcio. Ecco vogliamo essere “dirompenti” e fuori dagli schemi per creare empatia verso i nostri colori. Per questo dai nostri account parliamo soprattutto di ciò che c’è intorno alle partite. La proprietà non ha lesinato investimenti. Soltanto la media house conta 70 addetti». Il canale tv della As Roma, diffuso da Sky in Italia e Img nel mondo, mixa ai canonici programmi sportivi iniziative extrasportive che cavalcano i trend emozionali e produce contenuti life style. «Abbiamo lanciato anche una serie tv come Misterchef – sottolinea il dirigente romanista -. E ne abbiamo in preparazione altre 7-8».
Il concetto moderno di sponsorizzazione non è più concentrato sulla visibilità fisica o mediatica del brand, ma sulle sinergie attraverso cui è possibile ottenere engagement sempre più alto. «In questo senso – conclude Calvo – stiamo lavorando anche culturalmente con i calciatori che non devono soltanto prestare la propria immagine, ma sentirsi protagonisti di una più attiva interazione con i nostri partner, esprimendo dentro e fuori dal campo i valori del club».