La quarta sezione civile del Tribunale di Palermo ha sancito la fine dell’Us Città di Palermo. Il club rosanero, radiato quest’estate, è fallito. Le numerose inadempienze che hanno portato alla mancata iscrizione in Serie B hanno fatto da apripista ad una fine scontata, viste le numerose istanze di fallimento avanzate dai creditori, dalla Procura della Repubblica e soprattutto dagli ex calciatori. La sentenza del collegio presieduto da Gabriella Giammona cita per primo proprio il ricorso presentato da uno dei calciatori che nella passata stagione ha giocato nel Palermo, il portiere Pomini, al quale si sono accodati i compagni di squadra e tutti gli altri creditori. La società, lo scorso 21 agosto, ha chiesto l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con riserva, ma i giudici hanno dichiarato improcedibile la domanda, a causa di ulteriori violazioni della par condicio creditorum.
Adesso la palla passa nuovamente alla Procura di Palermo, che già in passato aveva chiesto il fallimento della società (rigettato nel 2018) e che ha presentato un’ulteriore istanza a seguito della mancata iscrizione del club in Serie B. Per Maurizio Zamparini, proprietario del Palermo dal 2002 al 2018, potrebbe prospettarsi l’accusa di bancarotta fraudolenta, ma le indagini riguardano anche gli ultimi proprietari della società, ovvero la Arkus Network rappresentata da Salvatore Tuttolomondo. Zamparini, tramite il figlio Andrea, ha dato disponibilità a versare dieci milioni di euro per poter così ottenere il via libera al concordato. Una strada che non si è mai aperta, anche perché il primo a non ritenere soddisfacente la proposta è stato l’amministratore giudiziario del club, il commercialista Giovanni La Croce. Tale somma sarebbe stata versata in 48 mesi, dietro rilascio di una garanzia reale, ma non sarebbe stata sufficiente vista la mole di debiti che lo stesso La Croce ha evidenziato nelle sue relazioni depositate in Tribunale: una cifra che si aggira tra i 50 e i 60 milioni di euro.
A rendere improcedibile la richiesta di concordato, inoltre, hanno contribuito una serie di pagamenti per circa 630 mila euro posti in essere dalla società senza alcuna autorizzazione del Tribunale, tra cui pagamenti in favore di lavoratori dipendenti per crediti maturati prima dell’avvio della procedura, pagamenti in favore degli avvocati della società e un compenso di 341 mila euro disposto in favore della Struttura srl per la predisposizione del piano concordatario. Peccato che questa società, stando alle note di La Croce, sia a sua volta controllata da Arkus Network, ovvero dalla stessa proprietaria dell’Us Città di Palermo.
Per i giudici, “risulta acclarata la sussistenza dello stato di insolvenza”, motivo per cui non si è potuto procedere oltre, considerando le irregolarità commesse a seguito della richiesta di concordato. Il prossimo 10 febbraio è prevista l’adunanza dei creditori per la verifica dello stato passivo e i beni della società (già sotto sequestro) verranno messi all’asta. Potrebbero interessare al nuovo Palermo di Mirri e Di Piazza, che non ha ancora sciolto le riserve in merito all’acquisizione del marchio, ma che sicuramente proverà a recuperare i cimeli, avendo tra le proprie intenzioni quella di creare un museo calcistico. Mentre la nuova società va avanti a suon di vittorie (sette su sette) nel campionato di Serie D, il vecchio Palermo ha definitivamente posto fine alla propria esistenza.