“Le email comprendono prove ammissibili”, ma non bastano. Un “collegamento mancante” ha permesso al Manchester City di salvare il proprio posto in Champions League, quello con cui la Uefa avrebbe dovuto dimostrare il legame tra la proprietà del club e gli sponsor emiratini. Il Tas ha reso note le motivazioni che hanno portato all’accoglimento del ricorso presentato dal club inglese, a seguito della squalifica di due anni dalle competizioni europee comminatagli dalla Uefa per il mancato rispetto dei regolamenti sul fair play finanziario. Le accuse del Club Financial Control Body, basate sulle indiscrezioni di Football Leaks, riguardavano presunti accordi di sponsorizzazioni con parti correlate valutati in maniera iniqua. Per la corte svizzera, invece, “non ci sono prove a sufficienza per dimostrare che siano stati effettivamente presi accordi” di questo genere con Etihad e Etisalat. Anzi, la corte ha stabilito che il City, gli sponsor e lo sceicco Mansur “non siano considerati essere parti correlate”.
Sono queste due le sponsorizzazioni finite nel mirino della Uefa, entrambe realizzate a partire dalla stagione 2009/10 (i termini dell’accordo con Etisalat non sono stati rivelati, mentre Etihad ha versato circa 220,6 milioni d sterline e 1,75 milioni di dollari per le stagioni 2012/13, 2013/14 e 2015/16). Basandosi sulle mail rese note da Football Leaks, secondo la Uefa, l’85% dei proventi derivanti da queste due sponsorizzazioni sarebbero in realtà stato versato dall’Abu Dhabi United Group Investment & Development, ovvero dalla società dello sceicco Mansur, proprietario del Manchester City. Per il Club Financial Control Body, dunque, non era stato rispettato il “fair value” dei contratti di sponsorizzazione con una parte correlata, norma prevista dai regolamenti sul fair play finanziario. Di fatto, l’accusa rivolta al Manchester City era quella di mascherare degli apporti di capitale sotto forma di sponsorizzazione.
Il Tas ha riconosciuto come attendibile il contenuto delle mail “hackerate” e l’utilizzo delle stesse da parte della Uefa, dato l’interesse pubblico della vicenda. La legge svizzera, d’altronde, prevede in quest’ultimo caso la legittimità di prove ottenute anche tramite mezzi illegali, come accaduto in quest’occasione. I “leak” da soli, però, non bastano a costituire una prova fondata. La Uefa non è stata in grado di presentare materiale probante come contratti, estratti conto e tracce contabili di tali operazioni, anche per la mancata collaborazione da parte del Manchester City, motivo per cui il Tas ha confermato (seppur in forma ridotta) la multa. Per la maggior parte delle presunte violazioni, alla fine, è intervenuta la prescrizione, che non riguarda però i fatti registrati nel bilancio del 2014, così come le accuse sul mancato rispetto dei regolamenti sul pareggio di bilancio nella stagione 2014/15.
In definitiva, “non c’è dubbio che Etihad abbia pienamente rispettato i suoi pagamenti verso il Manchester City e che il Manchester City abbia prestato i servizi concordati contrattualmente con Etihad in ritorno”. Allo stesso modo, “non c’è prova che gli accordi fossero retrodatati o che il Manchester City abbia retroattivamente cercato di coprire ogni presunta violazione a seguito della pubblicazione delle email”. Mail che, sempre per il Tas, restano attendibili, anche perché la corte ha deciso di affidarsi alle versioni originali fornite dal Manchester City e non da quelle ottenute illegalmente. Da sole, però, non sono bastate per provare le accuse della Uefa.