Nel calcio soffriamo lo “spread” spagnolo

Da Il Sole 24 Ore del 17 febbraio 2012

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Il decennio smarrito del calcio  italiano. Potrebbe intitolarsi così l’analisi sulle classifiche europee dei  ricavi negli ultimi 10 anni. Al di là delle intuizioni del management di alcune
società (come la Juventus che ha costruito uno stadio di proprietà e il Milan
che ha potenziato le politiche di marketing), la serie A si è avvitata nelle
sue beghe interne e si ha la sensazione che abbia definitivamente perso il
passo di Premier, Bundesliga e Liga spagnola.

Seduta sulla montagna dei diritti tv "casalinghi" (circa un miliardo all’
anno), la Lega ha trascorso gli ultimi 24 mesi a litigare su questioni come i
bacini d’utenza, il contratto collettivo dei calciatori e la successione di
Maurizio Beretta alla presidenza (se ne ridiscuterà nell’assemblea del 2
marzo). Abbandonando, nel frattempo, la legge sugli stadi in Parlamento (forse
verrà approvata entro giugno, come auspicato qualche giorno fa dal neo ministro
dello Sport, Piero Gnudi).  Il vero problema è che con il fair play finanziario le spese saranno
sempre più ancorate alle entrate. Non saranno più ammessi interventi di
mecenati, sceicchi e oligarchi. Per cui gli attuali rapporti di forza rischiano
di cristallizzarsi.

Ma com’è cambiato, appunto, lo scenario nel calcio del Vecchio
Continente? Nel 2000 il primato del fatturato spettava al Manchester United con
185 milioni, seguivano Real Madrid (164), Bayern Monaco (145) e Milan (142).
Cinque anni dopo passa in testa il Real con 258 milioni, il Manchester United
scende al secondo posto con 246 e il Milan è terzo con 234. La cavalcata dei
big stranieri è stata inarrestabile, soprattutto, nell’ultimo triennio. Il Real
ha macinato introiti arrivando nel 2011 a 479 milioni. Il Barcellona è salito a
quota 451. I Red Devils si sono issati a 367 e il Bayern a 312. Arsenal e
Chelsea hanno raggiunto i 250 milioni, mentre Liverpool e Schalke 04 hanno
doppiato la boa dei 200. Milan e Inter sono oggi al settimo e all’ottavo posto
con 235 e 211 milioni. Un fatturato che, salvi gli alti e i bassi stagionali,
realizzavano già cinque, sei anni fa.

Com’è cresciuto questo "spread"? Hanno inciso una serie di scelte
gestionali, di governance errate e di occasioni storiche – come l’
organizzazione degli Europei – sprecate. Prendiamo il Milan, la squadra numero
uno in Italia per ricavi, seconda solo al Barcellona per rendimento in campo.
Tra il 2011 e il 2010 c’è stato un decremento del fatturato del 3,7% dovuta
alla contrazione dei ricavi tv (33 milioni) a causa dell’entrata in vigore
della legge Melandri il 1° luglio 2010 che li ha resi di nuovo collettivi.
Riduzione che ha annullato le buone performance dell’area commerciale e della
biglietteria passate la prima da 63 a 92 milioni, e la seconda da 31 a 35
milioni.

Real Madrid e Barcellona che hanno spiccato il volo, oltre a poter
contare sul bonus dell’azionariato diffuso, possono beneficiare invece di
introiti record da diritti tv che in Spagna sono ancora venduti
individualmente. E, in effetti, il resto della Liga non se la passa così bene.
I rossoneri con 235 milioni di ricavi, poi, come evidenziato nell’ultimo
Deloitte Football Money League, sono di poco alle spalle di Arsenal (251) e
Chelsea (249), pur avendo uno stadio di proprietà. I team d’Oltremanica, d’
altro canto, hanno saputo vendere all’estero il loro prodotto e pur ottenendo
dalle tv quanto gli italiani – circa un miliardo – ne ricavano circa un terzo
all’estero. Questo significa meno match trasmessi in patria e stadi pieni.

La colpa della dirigenza dei club italiani, perciò, è stata quella di non
avere avuto una visione d’insieme sulla trasformazione dei modelli di business
del calcio. Come ce l’ha avuta, per esempio, la Bundesliga che con trend di
crescita del 25% nell’ultimo quinquennio e rispettando un rapporto
ricavi/ingaggi al 51% è salita al secondo posto tra le leghe Ue con 1,9
miliardi di fatturato, superando Liga (1,5 miliardi) e serie A (1,5) e mettendo
nel mirino la Premier (leader con un giro di affari di 2,5 miliardi).
L’unica consolazione è la "maledizione" da oscar del fatturato. Nel primo
lustro del 2000 quando dominava la graduatoria dei ricavi il Manchester United
non ha mai raggiunto una finale di Champions. E lo stesso è accaduto negli
ultimi sette anni, al Real Madrid. È anche vero, però, che solo una volta nel
2004 la coppa dalle Grandi Orecchie è stata vinta da una squadra esclusa dal
circolo dei ricchi: il Porto di un certo José Mourinho.

Marco Bellinazzo

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