La Serie A ha debuttato al Bentegodi con il pareggio tra il Verona e i vicecampioni d’Italia della Roma. Quello 2015/16 sarà un campionato ricco di novità, dalla goal line technology (costata circa due milioni) che eviterà le polemiche sulle reti “fantasma” ai più rigidi parametri finanziari. Ma si annuncia anche come un passaggio cruciale per la storia del Calcio italiano Spa chiamato a colmare il gap di competitività rispetto agli altri principali tornei europei attraverso una rifondazione infrastrutturale e di governance. Interventi improcrastinabili, come ha reso evidente il default del Parma deflagrato nel corso della passata stagione.
La geografia della Serie A
Le protagoniste della corsa allo scudetto 2015/16 restano le stesse dello scorso anno, con la Juventus lanciata alla conquista del quinto titolo consecutivo, e Roma, Lazio, Napoli e Fiorentina ad inseguire. C’è però il prepotente ritorno delle milanesi che hanno speso molto sul mercato per recuperare il terreno perduto. Ai nastri di partenza, ci saranno per la prima volta tre club con proprietà straniera: all’Inter di Erick Thohir e alla Roma di James Pallotta si aggiunge il Bologna del canadese Joey Saputo (senza contare il Milan, il cui 48% dovrebbe passare, entro fine di settembre, nelle mani della cordata del cino-thailandese Bee Taechaubol). Ma anche la Provincia sarà ben rappresentata con otto compagini: oltre a Sassuolo, Atalanta, Udinese, Empoli e ai due team di Verona, sono infatti sbarcati nella massima competizione tricolore il Carpi di Stefano Bonacini (proprietario della casa d’abbigliamento Gaudì, 50 milioni di fatturato e 60 punti vendita anche all’estero) e il Frosinone di Maurizio Stirpe (attivo nel comparto della componentistica in plastica per l’industria dell’auto, delle moto e degli elettrodomestici). Certamente non magalopoli (Carpi conta circa 70mila abitanti, Frosinone 47mila), ma espressioni di un sano modello di sviluppo sportivo che può contribuire a ridare equilibrio e realismo all’intero movimento calcistico nazionale. Preoccupante è semmai il fatto che dalla geografia del Pallone tricolore, tolti Napoli e Palermo, sia sparito il Sud.
Un torneo sempre più in bilico
Lo squilibrio economico-finanziario, complice la recessione, si è andato inesorabilmente accentuando in questi anni. Dal 2009 al 2014, Serie A, Serie B e Lega Pro hanno accumulato perdite per 1,8 miliardi e l’indebitamento è cresciuto da 2,8 a 3,7 miliardi. La sola Serie A nella stagione 2013/14 ha registrato un deficit di 186 milioni e, rispetto ai 619 milioni del 2009, ha maturato debiti finanziari per 1,1 miliardi. Una debolezza strutturale che si riverbera nell’erosione dei risultati operativi. I ricavi viaggiano da tempo intorno a 1,8 miliardi (al netto, nel 2014, di 443 milioni di plusvalenze, che sommate ai diritti tv coprono i due terzi del giro d’affari complessivo). I costi totali sono saliti invece a 2,4 miliardi (di cui 1,1 miliardi di salari e 457 milioni di ammortamenti). La Serie A non si è ancora scrollata di dosso il vizio di dilapidare in lauti ingaggi i ricchi introiti televisivi che nel triennio 2015-18 saranno pari a 1,2 miliardi a stagione. Mentre scarseggiano gli investimenti in infrastrutture (gli stadi italiani hanno un’età media di oltre sessant’anni). A parte le note eccezioni della Juventus, dell’Udinese che sta ultimando la ristrutturazione del Friuli e del Sassuolo che ha acquistato l’impianto di Reggio Emilia, solo poche società, come l’Atalanta della famiglia Percassi, hanno ammodernato i propri stadi, mentre da Milano a Napoli, da Genova a Firenze, finora non si è andati oltre le manifestazioni d’intenti e i plastici. Per quanto concerne il progetto da oltre un miliardo complessivi dell’As Roma, pur avendo superato i primi step amministrativi, vede la posa della prima pietra slitta di mese in mese. E intanto con appena 23mila spettatori medi a partita e un tasso di riempimento di poco superiore al 50%, la Serie A è sempre più distante da Bundesliga (43mila) e Premier League (36mila).
Fair play “Made in Italy”
Ecco perché la Figc guidata dal presidente Carlo Tavecchio e dal dg Michele Uva ha varato un piano di risanamento con l’obiettivo di mettere al sicuro i conti dei club. Un piano che include il tetto alle rose in stile Uefa fissato a 25 giocatori (4 cresciuti in Italia e 4 nel vivaio del club) e il fair play finanziario made in Italy. Dal 2007 la Covisoc, l’organo di controllo contabile, doveva monitorare sostanzialmente solo la regolarità dei pagamenti di ingaggi e ritenute Irpef. Da quest’anno le società dovranno rispettare al contrario un indicatore di liquidità che dimostri la capacità di far fronte a tutti gli impegni finanziari. In caso di esito negativo dell’esame si dovrà colmare il buco. Al club potrà però essere fatto uno sconto di un 1/3 sull’importo da versare nelle proprie casse se i bilanci saranno conformi a un indicatore di indebitamento (cioè a un certo rapporto tra i debiti totali e la media triennale del fatturato) e di un altro terzo a un “indicatore di costo del lavoro allargato”. Il costo della rosa (ingaggi più ammortamenti) in particolare non dovrà superare un certa soglia dei ricavi (il 90% dei ricavi da quest’anno e poi all’85 e all’80% nelle stagioni seguenti) dei ricavi (calcolati sulla media triennale, incluse le plusvalenze). Le nuove regole andranno a regime gradualmente. Nella stagione 2015-16 i club non in regola (circa i 2/3 della Serie A) devono presentare un piano di rientro. Se la violazione si protrarrà nella stagione 2016-17 scatterà il blocco del calciomercato e in caso di ulteriore inadempienza sarà vietata l’iscrizione al campionato 2017-18.
(Dal Sole 24 Ore del 22 agosto 2015)