In Italia alla fine del 2010 c’erano 132 squadre professionistiche, in Inghilterra 92, in Germania una sessantina, in Spagna e Francia meno di 50. All’inizio di quest’anno la Lega Pro ha perso per strada 13 club alle prese con difficoltà finanziarie che hanno reso inaccessibile persino il pagamento della fideiussione necessaria a iscriversi in Prima Divisione (600mila euro) o in Seconda (300mila).
La recessione. Le penalizzazioni per il mancato pagamento degli stipendi (cosa che rende il calcio minore sempre più esposto a infiltrazioni e taroccamenti) fioccano anche in questa stagione e altre società sono sull’orlo del fallimento. Non si può andare avanti vendendo al botteghino 200-300 biglietti a partita e perdendo in media un milione all’anno per squadra come accade ormai cronicamente (si fatturano meno di 2 milioni e se ne spendono 3, con costi che continuano a crescere più dei ricavi). La crisi economica, infatti, sta mettendo a dura prova quel tessuto di Pmi che faceva da naturale sostegno in ambito territoriale alle squadre di Lega pro (anche per convenienze fiscali, inutile nasconderlo). Che fare per evitare il disastro e ridare autonomia e senso a questo storico movimento?
Le riforme ineludibili. Le proposte di riforma avanzate in questi mesi dal presidente della Lega Pro Mario Macalli e dal direttore generale Francesco Girelli sono radicali e si imperniano su una evidente riduzione del peso politico della Terza Serie e dei suoi dirigenti che le rende scevre da qualsiasi conflitto d’interesse e, dunque, sicuramente “trasparenti”. Macalli e Ghirelli hanno in mente una serie C strutturata su tre gironi da venti squadre geograficamente limitrofe, in modo da stimolare i “derby” e un sano campanilismo sportivo. Ma soprattutto il potenziamento delle politiche giovanili. Oggi per chi manda in campo under 20 ci sono i premi della Figc (16 milioni) . La Lega Pro vorrebbe insistere su rigorosi criteri di minutaggio per la distribuzione di queste sovvenzioni. L’Associazione italiana calciatori viceversa vorrebbe che gli aiuti fossero distribuiti “a pioggia”, un tot a ogni squadra che ha in rosa i giovani calciatori. Sembra che su questa questione, che non è solo di filosofia, si sia anche bloccata la trattativa per il rinnovo del contratto collettivo (scaduto da oltre 15 anni). Poi c’è l’annosa questione degli stadi (da rifare, ma non in ogni città), quella dell’orario delle partite (si pensa alle 18 del sabato, perché la domenica mattina la Chiesa non sarebbe contenta) e quella degli ingaggi da calmierare (soprattutto per i giovani, con i contratti di apprendistato/addestramento). Il lavoro da fare e le decisioni da prendere, insomma, sono tante. Ma nei prossimi mesi non ci si potrà accontentare di idee e chiacchiere. Ne vanno di mezzo il futuro e l’esistenza stessa della gloriosa serie C.