La decisione assunta ieri mattina dal presidente della Lega di Serie A, Paolo Dal Pino, assecondando la moral suasion del ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, di rinviare al 13 maggio cinque partite della Serie A, tra cui il derby d’Italia Juventus-Inter, appare tanto opportuna negli obiettivi perseguiti, quanto errata e imprudente sotto il profilo delle tempistiche e delle conseguenze. Le roventi polemiche suscitate tra gli sportivi e non solo sono d’altro canto la prova della delicatezza del momento e della complessità di governare l’emergenza Coronavirus.
Il ministro Spadafora ieri ha sintetizzato la questione chiarendo come «la valutazione unanime dei vertici del mondo sportivo e calcistico sia stata quella di prediligere il rinvio piuttosto che giocare negli stadi vuoti, tenendo conto anche delle ripercussioni a livello di immagine sul nostro Paese e delle difficoltà nella programmazione di turni supplementari in un calendario mai come quest’anno denso di appuntamenti nazionali e internazionali».
Che la salute pubblica abbia l’assoluta priorità rispetto agli interessi sportivi ed economici dei club è stato detto, del resto, già lunedì scorso dal presidente della Juventus Andrea Agnelli nell’intervista a Radio 24, e ribadito da tutti i dirigenti delle squadre che avrebbero dovuto scendere in campo in questo weekend in stadi a porte chiuse.
Cosa sia cambiato tra giovedì scorso, quando la Lega ha appunto comunicato di voler far disputare i match senza pubblico, e ieri mattina, quando è scattato il rinvio è difficile da comprendere. La propagazione dell’epidemia non sembra essere particolarmente peggiorata. Possibile che le istituzioni sportive italiane abbiano dovuto attendere sabato mattina per rendersi conto che giocare la partita più prestigiosa della stagione con spalti vuoti e diretta tv in quasi 200 paesi, peraltro in contemporanea con il Clasico Real Madrid-Barcellona, avrebbe arrecato un danno di immagine per il Belpaese di dimensioni planetarie e di lunga durata?
Se la salute pubblica è la priorità è anche vero che, in second’ordine, esiste un valore, che è quello della regolarità dei campionati, che va protetto sia per evidenze sportive che per implicazioni finanziarie. E il posticipo di alcune partite a fine maggio, mentre ieri ne sono andate in scena altre tra cui quella della neo capolista Lazio, ha oggettivamente intaccato il principio delle paritarie condizioni agonistiche. Inoltre, come ha fatto notare l’ad dell’Inter, Beppe Marotta, con il perdurare dello stato d’emergenza in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto potrebbe porsi il problema di rinviare altre cinque gare tra il 7 e l’8 marzo. Come si potrebbe altrimenti giustificare di farle disputare a porte chiuse? E come si finirebbe il campionato? Già tifosi e addetti ai lavori fanno fatica a capire come mai tra tre giorni all’Allianz Stadium si possa giocare la semifinale di Coppa Italia Juventus-Milan con soli spettatori piemontesi come pure propone il Governo.
Una soluzione equilibrata in questi giorni caotici appare quella della Lega Pro del presidente Franscesco Ghirelli che una settimana fa (sia pure con un calendario meno ingolfato) ha sospeso tempestivamente e integralmente due giornate dei gironi centro-settentrionali della Serie C. Proteggendo i cittadini e non scontentando i tifosi.
(articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 1° marzo 2020)