Siano i benvenuti i supplementi di istruttoria sul nuovo stadio della Roma. Un progetto che, come certificato dalla Sapienza, porterà investimenti per 1,6 miliardi (tutti a carico dei privati, di cui 440 milioni per opere pubbliche), un incremento del Pil provinciale dell’1,5% all’anno (due volte e mezzo quello generato da Expo su Milano) e 5.500 nuovi occupati, riqualificando un’enorme area urbana e dando vita a un Business Park in cui a regime saranno impiegate 15-20mila persone, merita ogni approfondimento. Per quanto la legge sull’impiantistica del 2013 definisse un iter di 9/12 mesi per l’approvazione dei piani relativi ai nuovi stadi e tra cambi di maggioranza , commissariamenti, richieste di miglioramenti, si sia già oltrepassato i due anni e mezzo (sul dossier giallorosso il primo riconoscimento di interesse pubblico è stato votato dalla Giunta comunale nel settembre 2014). Tuttavia, il balletto di pareri degli ultimi giorni, in vista della decisione della Conferenza regionale all’inizio di marzo è intollerabile per chi, come il club romanista, ha maturato il legittimo affidamento sul buon esito del confronto e su quella “continuità” che in tutti gli ordinamenti civili regge l’azione amministrativa. Per i buoni provvedimenti non c’è spoils system. O gli enti pubblici coinvolti accertano perciò inequivocabilmente che nella zona di Tor di Valle non ci sono le condizioni di sicurezza per edificare lo stadio e le altre opere compensative oppure si arrivi velocemente alla posa della prima pietra. Il tutto concordando quelle correzioni che la stessa società giallorossa è disposta ad apportare per garantirne la piena funzionalità. In quest’ottica, la proprietà Usa faccia un ulteriore sforzo, magari anche riformulando la struttura giuridica dell’iniziativa per fugare ogni dubbio sull’appartenenza dello stadio all’As Roma. Per il bene del calcio italiano e del Paese non si può più tergiversare.
(dal Sole 24 Ore del 5 febbraio 2017)