Il campionato di Serie C si prepara a ripartire in questo weekend, dopo lo sciopero indetto dalla Lega Pro del presidente Francesco Ghirelli in occasione del turno in programma il 21 e 22 dicembre scorsi. Una decisione, quella di non giocare, maturata di fronte al mancato inserimento nella legge di bilancio di alcuni provvedimenti ritenuti indispensabili per dare maggiore stabilità alla categoria. Nonostante il gesto eclatante, però, la Lega Pro ammette che le «richieste e proposte avanzate al governo non hanno avuto il riscontro auspicato», confermando dunque lo stato di agitazione dei club «che valuteranno con quali forme attuarlo nel prossimo futuro».
Defiscalizzazione
Il semiprofessionismo e la defiscalizzazione sono infatti considerati essenziali e sono stati al centro lo scorso 18 dicembre di un incontro urgente tra il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e il presidente federale Gabriele Gravina. Un incontro che Ghirelli ha giudicato positivamente, pur chiedendo atti concreti nelle prossime settimane («altrimenti sarò costretto a tagliare anche drasticamente il numero dei club, anche a dimezzarlo, cosa che non vorrei; ricordo che svolgiamo una funzione sociale in un paese sfiduciato, dovremmo essere considerati diversamente», ha spiegato). Attualmente la legge 91 del 1981 mette la Serie C sotto l’ombrello del professionismo. Nel contesto economico così complicato, come quello vissuto dal Paese, negli ultimi 10 anni, questa condizione è ormai insostenibile. Il costo del lavoro dei 60 club di Serie C che perdono complessivamente circa 60 milioni a stagione va alleggerito. Attualmente le società versano circa 25 milioni all’anno di ritenute Irpef. Passando al semiprofessionismo questi oneri contributivi potrebbero essere abbattuti. Ma, come ha sottolineato in più occasioni Ghirelli, non per consentire di pagare di più i calciatori, bensì per porre le condizioni di una crescita sostenibile. La richiesta del presidente della Lega Pro è infatti quella di tramutare questi sgravi in crediti d’imposta per favorire gli investimenti nelle strutture sportive, negli stadi e nella formazione dei giovani.
Piano di sviluppo e brand
Intanto, Paolo Carito, responsabile sviluppo strategico, marketing e commerciale Lega Pro, ha presentato il piano di sviluppo strategico marketing e commerciale 2019-2022. «Il piano strategico e commerciale della Lega Pro – ha illustrato Carito – si sta sviluppando con accordi già raggiunti negli ultimi tre mesi di lavoro. A breve ufficializzeremo alcune partnership e rapporti commerciali con aziende importanti. Con il Presidente Ghirelli abbiamo posto le basi per un progetto Lega Pro di ampio respiro, moderno, di forte impatto e orientato al raggiungimento di importanti obiettivi di breve e più lungo termine. Puntiamo ad una Lega Pro sempre più attrattiva ed a supporto delle società di calcio affiliate alla Serie C». Il piano si focalizza su tre pilastri: identità, posizionamento del brand e sostenibilità economica. Il prossimo 4 febbraio presso la sede della Errea, sponsor tecnico della C, si svolgerà un primo incontro dal titolo «La maglia da gioco: il principale strumento di marketing nel calcio».
Le nuove regole
In questa stagione, rispetto alle tumultuose annate precedenti, alcuni miglioramenti si sono visti con maggiori presenze negli stadi e più abbonanti alle tv, e grazie a regole contabili più severe si sono registrati molti meno scossoni societari (con il Rieti salvato in extremis a novembre): le iscrizioni ora vanno completate inderogabilmente entro il 24 giugno; in caso di mancato pagamento degli emolumenti, ritenute Irpef e contributi Inps per due bimestri anche non consecutivi scatta l’esclusione dal campionato; viene istituita una black-list per evitare l’acquisto dei club da parte di soggetti “indesiderabili”. È necessario però sviluppare nuovi progetti economici. Inoltre, decisiva si sta rivelando la scelta di incentivare l’utilizzo di giovani prodotti dal vivaio. Da questa stagione è stata abolita ogni limitazione di età nell’utilizzo dei giovani, ma è stata introdotta una lista con un massimo di 6 calciatori per ogni club, il cui tesseramento sia a titolo di cessione o trasferimento temporaneo da parte di società di A e B. Sono così in aumento i giovani calciatori di proprietà e quelli provenienti dal settore giovanile interno che scendono n campo. «Il 70% delle società che seguono questa strada – ha concluso il presidente della Lega Pro – hanno ricevuto più contributi. Ed è un cambio di cultura che accompagna i nostri club in un processo di patrimonializzazione. Ma occorre fare di più. Con 60 squadre non può esserci una sola fonte di risorse, dobbiamo operare anche su altre, come a esempio quelle europee».
La richiesta al governo
«Con l’azione del 22 dicembre – si afferma nella nota pubblicata dalla Lega Pro – abbiamo voluto prendere una decisa posizione e lo abbiamo potuto fare perché abbiamo acquisito credibilità per le regole introdotte ed applicate e gli atti di risanamento posti in essere. Ora tutti sanno che non scherziamo perché siamo seri, abbiamo sollevato il tema principe per i club di Serie C, senza infingimenti o ipocrisie: il 2020 ci deve dire se siamo sostenibili con l’attuale configurazione. Chiediamo al governo che ci sostenga – prosegue la nota – con provvedimenti che vanno dalla restituzione del credito di imposta a nuove forme di contribuzione al calcio (1% dell’ammontare degli introiti delle scommesse etc.), dalla revisione della legge Melandri ad una modifica relativa all’imposizione IRAP sui contratti dei tesserati. Noi siamo il calcio sociale e quello della formazione dei giovani calciatori, i presidenti mediamente effettuano annualmente interventi da due a quattro milioni, chiediamo risorse per utilizzarle per costruire centri sportivi e formare i giovani. Il quesito aperto è semplice: o si trovano risorse per questa esperienza originale del calcio italiano o bisogna ridurre il numero dei club contribuendo a peggiorare la qualità sociale dell’Italia, non solo del calcio».