Il Napoli riparte da Rino Gattuso, ma ora il vero limite rischia di essere la proprietà

Aurelio de Laurentiis a bordo campo prima della partita di Champions League Napoli - Borussia Dortmund allo stadio san Paolo di Napoli, 18 settembre 2013. Ansa  De Luca

La gestione virtuosa di Aurelio De Laurentiis con otto bilanci consecutivi in utile dopo il ritorno in Serie A si è arenata nelle ultime stagioni nelle secche di un fatturato strutturale che tra botteghino, area commerciale e diritti tv nazionali è rimasto sotto la soglia dei 150 milioni. Una soglia quasi fisiologica dato il “bacino d’utenza” del club. Le quote su cui il management del Napoli potrebbe incidere direttamente (stadio, sponsor e merchandising), essendo i diritti tv negoziati collettivamente dalla Lega, in mancanza di investimenti adeguati, non sono cresciute come sarebbe stato necessario per competere oggi nel calcio di alto livello. Emblematico il tira e molla con il Comune di Napoli sullo stadio San Paolo che va in scena da almeno un quinquennio.

Il Napoli ha uno squilibrio strutturale tra entrate e uscite che ormai sfiora i 70 milioni. Il costo della rosa è infatti cresciuto in questi anni e si è attestato intorno ai 200 milioni. Gli ultimi dati ufficiali disponibili sono quelli del bilancio chiuso al 30 giugno 2018. In quel documento contabile, che ancora non contemplava l’ingaggio di Carlo Ancelotti e del suo staff che costano circa 10 milioni lordi (a cui ora si aggiunge quello di Rino Gattuso), sono riportati un costo del personale pari a 118 milioni e ammortamenti per 65 milioni. A ciò vanno a sommarsi altri costi operativi per circa 35 milioni. Per colmarlo il divario contabile il club può percorrere due strade: la partecipazione in Champions; le plusvalenze da calciomercato.

Ecco, il peccato più grave della gestione De Laurentiis è stato quello di non aver sfruttato la finestra temporale dell’ultimo quinquennio, con ben 4 presenze in Champions che hanno fruttato tra la stagione 2016/17 e quella in corso circa 200 milioni di proventi Uefa, per imbastire gli investimenti indispensabili al potenziamento economico. Con il prepotente ritorno dell’Inter, quello imminente del Milan e la concorrenza periodica di Lazio, Roma, Atalanta o della Fiorentina di Rocco Commisso, in effetti, l’accesso alla massima competizione continentale sarà un risultato sempre meno scontato. L’altro modo per evitare deficit rilevanti di bilancio è il ricorso alle plusvalenze. Ad oggi il Napoli ha un parco giocatori molto ambito (si pensi solo a Koulibaly e Fabian Ruiz), ma non è affatto detto che questo strumento possa funzionare sempre e comunque.

L’unico rimedio duraturo per tenere i conti in equilibrio è di abbassare il costo della rosa. Questa ricetta però porta con sé il rischio di depotenziare strutturalmente la rosa e farle perdere competitività, cosa che porterebbe a perdere terreno in Europa – un cane che si morde la coda -, oggi la vera preoccupazione del presidente De Laurentiis. Mancare l’aggancio alla Champions può esporre il club a perdite sensibili in bilancio. Per questo motivo la cassaforte del club custodisce gelosamente un tesoretto di circa 90 milioni di liquidità (un unicum in Europa). Queste somme derivanti da precedenti surplus, e soprattutto dalla plusvalenza Higuain, anziché essere reinvestito, rappresenta la polizza assicurativa dell’azienda Calcio Napoli.

C’è da domandarsi infatti seriamente se il Gruppo Filmauro disponga o meno delle risorse necessarie per far fronte al fabbisogno del club ovvero a rilevanti aumenti di capitale che dovessero rendersi necessari in caso di annate negative senza ricorrere all’indebitamento. Una soluzione fin qui orgogliosamente evitata dal presidente De Laurentiis. Nell’ultimo bilancio disponibile (al 30 giugno 2018), il fatturato del Napoli all’interno del Gruppo presieduto da De Laurentiis è pari a circa il 90% del totale (87% al 30 giugno 2018 e 91% al 30 giugno 2017). Il settore cinematografico vale il 7%. In pratica, i ricavi extracalcistici del Gruppo sono pari a poco più di 30 milioni. Il Gruppo Suning proprietario dell’Inter fattura 60/70 miliardi di dollari. La Exor casa madre della Juventus 140 miliardi. Un abisso da cui riverbera da un lato il miracolo fin qui compiuto da De Laurentiis nel mantenere il club partenopeo competitivo ma dall’altro l’insostenibilità a lungo andare di gestioni mecenatistiche o familiari nel football contemporaneo di fascia alta.

 

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