“Il calcio sta cambiando: fino a 50 anni fa era strettamente nazionale; poi venne la componente continentale; ora i club sono forze globali. Ma abbiamo 10 o 12 club di cinque paesi europei che sono a un certo livello e il resto del mondo è molto, molto indietro. La mia visione è che dovremmo avere 50 club di tutti i continenti che sono più o meno allo stesso livello”. Il presidente della Fifa, Gianni Infantino, a Doha per celebrare la Club World Cup 2019, ha ulteriormente ampliato la visione – e le frontiere – della sua politica sportiva. Rieletto per acclamazione lo scorso 5 giugno, l’attuale numero uno del calcio internazionale resterà in carica fino al 2023 per perseguire il suo obiettivo di una effettiva globalizzazione del football.
Se nel suo primo mandato Infatino ha portato a compimento la riforma della Coppa del Mondo per nazionali che dal 2026 in Usa, Canada e Messico vedrà scendere in campo 48 team (anziché 32), ora sta spingendo sul rinnovo del mondiale per club. Lo scorso ottobre, il Consiglio della Fifa, riunito a Shanghai, ha così assegnato alla Cina l’organizzazione della prima edizione del format extralarge della vecchia Coppa Intercontinentale che, tra fine giugno e inizio luglio 2021, coinvolgerà 24 squadre (solo 8 della Uefa).
“La nuova Coppa del Mondo per club – ha sottolineato ancora Infantino – è sicuramente una nuova piattaforma per sviluppare il calcio in tutto il mondo, e stiamo già vedendo segni di un enorme interesse. Abbiamo lanciato una sfida alle aziende per divenire partner di quello che sarà il miglior torneo di club al mondo, un torneo interamente di proprietà della Fifa: 16 compagnie hanno espresso interesse e abbiamo ricevuto nove proposte che ora stiamo valutando”. Una notazione non irrilevante. Nelle scorse settimane sono trapelate indiscrezioni sulla disponibilità di Cvc capital partner, finanziaria britannica specializzata in private equity, con una discreta expertise in ambito sportivo, a cooperare con la Fifa. Ma soprattutto lo scorso anno il Financial Times aveva parlato di una cordata internazionale guidata da SoftBank, conglomerata giapponese delle tlc, comprendente soggetti cinesi, sauditi, americani ed emiratini pronta a investire nel nuovo torneo garantendo 25 miliardi di dollari. Il progetto sarebbe stato incentrato sulla creazione di una joint venture con la Fifa al 51 per cento.
A inizio dicembre, d’altro canto, si è molto parlato del dialogo avviato dal presidente del Real Madrid, Florentino Perez, con Infantino per far nascere un campionato paneuropeo con 40 squadre delle principali Leghe continentali (Premier, Liga, Bundesliga, Serie A e Ligue 1), da potere anche declinare in chiave globale, attraverso la neonata World football club association (Wfca), istituita appena un mese prima proprio per favorire il dialogo tra club e Fifa (i fondatori sono Real, Milan, Auckland City, Boca, River Plate, America, Guangzhou e Mazembe). Alleandosi con Infantino, probabilmente, il patron dei Blancos punta a mitigare la rigida contrarietà del presidente Uefa, Alexander Ceferin, all’ipotesi di una SuperChampions, sempre più ricca (si reputa di poter triplicare gli attuali 3,2 miliardi di introiti Champions ed Europa League) e tendenzialmente elitaria, da edificare dopo il 2024. La concorrenza fra sport e le varie forme di entertainment impone di accelerare la crescita e intraprendere nuove linee di sviluppo (il calcio ha una fan-base che sta invecchiando) e i top club cominciano a considerare come una zavorra i campionati nazionali. La Uefa di contro ha alzato le barricate e facendo sponda sulle Leghe nazionali dal 2021 ha varato una terza competizione a favore delle realtà medio-piccole d’Europa.
La contesa (sportiva ed economica) tra Vecchio e Nuovo calcio dunque è in pieno svolgimento e il 2022 sarà la deadline per impostare ogni tipo di cambiamento. L’unica certezza è che da lì in poi il football non sarà più quel che oggi i tifosi conoscono e hanno imparato ad amare.